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Venerdì, 26 Aprile 2024
Calcio

GRIFONERIE - Il paradosso di Santopadre

Vorrebbe più tifosi al Curi, ma lo stadio è un cantiere e anche in B comandano le Tv

C’è una evidente discrasia, una forbice ormai impossibile da richiudere tra i sogni di Santopadre e di quanti ancora immaginano un calcio romantico e la realtà odierna. Mercoledì scorso, presentando il nuovo direttore generale Attilio Matarazzo, il presidente del Perugia ha detto, parola più parola meno: “ Vorrei invitare i tifosi a tornare allo stadio, a non guardare la partita in tivù. Quello non è il calcio vero. E’ la stessa differenza che passa tra andare a vedere degli attori recitare a teatro oppure al cinema. Dopo due-tre ore passate allo stadio si torna a casa con dentro tante emozioni, si vive la partita. Davanti alla televisione è tutto tropo freddo, asettico. E poi gli orari: basta con lo spezzatino, torniamo a giocare il sabato e la domenica, la gente si deve poter organizzare”.

Il discorso non farebbe una grinza, teoricamente, ma sia Santopadre che Matarazzo, in arrivo, tra l’altro, dal ponte di comando della Lega B, sono “prigionieri” di un paradosso: entrambi sanno bene che senza i cospicui proventi dei diritti Tv (una torta di oltre 48 milioni da dividere) il calcio rischierebbe di chiudere, costituendo gli incassi del botteghino solo una fetta irrisoria del bilancio.

Ed è del tutto evidente, oltretutto, che lo sport, tutto lo sport, sia prigioniero di una crisi epocale che arriva da lontano e non si sa dove potrà finire. Esistono ricerche di mercato ben strutturate che dimostrano come i giovani adolesventi non guardano più le partite (“non staremo mai un’ora e mezzo fermi davanti alla tivù”), al massimo scrutano gli highlights di 3 minuti sullo smartphone. Figuriamoci entrare in uno stadio. Ci vuole una passione che ormai hanno davvero in pochi.

Se guardiamo le presenze medie dell’ultimo campionato, a parte il Lecce (10.205), sono tutti allineati verso il basso, comprese le altre due neopromosse, Cremonese (4573) e Monza (4012), con il Perugia a 4072.

E allora, posto che per riportare la gente allo stadio servono risultati e possibilmente non perdere 5 volte e pareggiarne 8 su 19 totali, quali armi ha il Perugia? Non certo fare la “guerra” a Dazn, Sky e Helbitz. Perché, tra l’altro, i proventi che Matarazzo dovrebbe reperire sul mercato con nuove strategie di marketing senza i passaggio in tivù non hanno alcuna possibilità di esser valorizzati. Hanno valore ugnale a zero.

Forse si potrebbe mediare sulla questione degli orari, evitando possibilmente le notturne in pieno inverno col termometro vicino allo zero. Ma anche qui, siamo forse in presenza di un piccolo equivoco. E’ vero che lo spezzatino può creare un minimo di disorientamento organizzativo (chiamiamolo così), ma tutto sommato nell’ultimo campionato il Perugia, al Curi, ha giocato solo 4 volte in notturna e tre alle 18,30. Il resto (12 partite) sempre di giorno, tra le 14 e le 16,15.

E allora, tirando le somme quasi definitive del nostro ragionamento, il problema non sono i calendari imposti dai network tv, non sono i rapporti di familiarità e condivisione della maglia da parte di giocatori e allenatori, ormai del tutto inaffidabili (vale per chiunque, dal City al Pordenone), ma esclusivamente i risultati che la squadra riesce ad ottenere, giocando un calcio propositivo, in grado di trascinare ed entusiasmare chi ha accettato di pagare il biglietto.

Non è un caso se nell’ultima serie A, club metropolitani a parte, sono state Fiorentina e Verona ad aver avuto le maggiori performance in fatto di presenze e parliamo di squadre che hanno messo in mostra un gran gioco. E l’Atalanta, massimo esempio di spettacolo fino a un anno fa, è finita al tredicesimo posto, vittima di una stagione-no, con un ruolino casalingo addirittura peggiore di quello del Grifo, per dire: 4 vittorie, 8 pareggi e 7 sconfitte!

Ultimo inciso sullo stadio, ma dovremmo dire sugli stadi. Tutti vecchi, brutti e inguardabili. Non solo difficili da far digerire a chi entra e paga il biglietto, ma pensate a chi guarda in tv. La stessa partita, giocata in uno stadio anche piccolo, ma pieno, coperto, rimobambante come quelli inglesi o tedeschi, oppure in uno dei nostri, con spalti quasi deserti e strutture cadenti, non ha lo stesso appeal. E quando se ne accorgeranno i network tv, che già hanno notevoli cali di abbonamenti, saranno dolori per tutti. Ma questo, evidentemente, non è solo un problema di Santopadre e del Perugia Calcio, semmai anche di Andrea Romizi e della sua squadra.

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