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Cronaca

INVIATO CITTADINO Ci ha lasciato Franco Piazzoli, poeta e sognatore, figura di spicco del Borgo d’Oro

Era amante del teatro ed esperto di recitazione. Ha per tanti anni lavorato alla Turrenetta con Artemio Giovagnoni che chiamava con rispetto “l professore”. E poi al Piccolo Teatro San Martino col gruppo Città di Perugia

Ci ha lasciato Franco Piazzoli, poeta e sognatore, figura di spicco del Borgo d’Oro. Se n’è andato con discrezione e riservatezza, così come era vissuto. Una malattia breve e folgorante lo ha sottratto agli amici e alle persone che ne conoscevano il valore. Di origini umili (il padre Mario calzolaio, la madre Giuseppa casalinga), aveva conseguito la laurea impiegandosi alla Regione dell’Umbria. Era uomo parco e leale, attaccatissimo alla memorie familiari. Tanto che ogni anno pubblicava un manifesto con le foto e il ricordo dei genitori. Ne abbiamo parlato su queste colonne sottolineando il suo forte amore filiale [Quando un poeta ricorda i genitori e condivide il dolore con la città che ama. Lo fa, tutti gli anni, Franco Piazzoli (perugiatoday.it)]. Il manifesto era accompagnato da una poesia a firma “’l vostro fiòlo Franco”. Aveva ceduto volentieri la bottega del padre al cugino Adriano, noto collezionista, che l’ha stipata di libri, dischi, cartoline.

Amava la montagna, Franco, e praticava lo sci. Seguiva il calcio con passione, da interista sfegatato. Era amante del teatro ed esperto di recitazione. Ha per tanti anni lavorato alla Turrenetta con Artemio Giovagnoni che chiamava con rispetto “l professore”. E poi al Piccolo Teatro San Martino col gruppo Città di Perugia, insieme a Fausta Bennati, Leandro Corbucci, Gian Franco Zampetti. Gli assegnavano parti da borghese: medico, avvocato. Interpretava, con farfalla e gilè, caratterizzando il personaggio con la sua inconfondibile erre moscia che arrotava bell’apposta. Era bravissimo quando doveva fare l’arrabbiato, una specie di Gianni Agus perugino, peruginissimo.

Franco frequentava regolarmente gli incontri culturali di Porta Santa Susanna: si metteva in fondo alla sala, col cugino Adriano, e commentava gli interventi dei relatori. Aveva compiuto 75 anni, essendo nato il 31 di maggio del 1945. “A guerra finita”, diceva. Gli piacevano le donne, ma non aveva mai voluto legarsi stabilmente, perché amava la libertà. Fu socio dell’Accademia del Dónca, che non esitò a criticare tutte le volte in cui non condivideva qualcosa. Ma è stato sempre leale e collaborativo. In qualche occasione, mi consegnò per la pubblicazione delle traduzioni in lingua perugina del poeta romano Trilussa, di cui condivideva l’umorismo e lo sguardo severo sui comportamenti umani. Una comicità, insomma, dal retrogusto amaro. Perché, in fondo, Franco era un solitario, un personaggio triste e riflessivo, e condannava atteggiamenti ipocriti di falsa amicizia.

Frequentava anche l’Antica Società del Gotto, in via Enrico dal Pozzo, “per Fontenòvo”, come diciamo noi perugini. E quando usiamo questa espressione pensiamo alla cura del corpo (i reparti ospedalieri), a quella della mente (Villa Massari e i suoi “matti” del repartino) e il cimitero, estremo abbandono delle umane “cure”. Franco era dotato di una robusta dote versificatoria. Chiamarlo “poeta” è forse troppo, ma riusciva a verseggiare su tutto. La cronaca locale e nazionale gli forniva lo spunto per tirate, intrise di sapida ironia. Era
un poeta a braccio e riusciva agevolmente a formulare endecasillabi perfetti. Le occasioni potevano essere fornite da una cena tra colleghi, un matrimonio, un compleanno. Scriveva testi anche lunghissimi, con grafia minuta. Ricordo che una volta mi lesse una geremiade interminabile contro le sagre, per le quali provava profonda antipatia.

Non era un uomo semplice, Franco. S’impermaliva con facilità, s’impennava, si imbizzarriva, ma nutriva anche un forte senso dell’amicizia. Sapeva, alla bisogna, chiedere scusa senza umiliarsi. Al mattino faceva il suo giro al Centro o da Umbrò, coi fedelissimi Mario Raggiotti, Nazareno Bartocci, con l’amico Francesco, suo vicino di casa al Vicolo Lungo, come i borgaroli chiamano via Lupattelli. Andavano a prendere un caffè e a commentare i fatti del giorno. Parlavano di politica e di sport. Sono stati gli amici ad assisterlo e preoccuparsi di lui quando ha cominciato a dire che non voleva uscire, che non ce la faceva più a salire per via Cesare Battisti. Gli sono stati accanto e mi hanno tenuto informato anche
ieri sera, quando mi hanno chiamato, in due, per dirmi che, intorno alle 20:00, Franco se n’era andato. Con discrezione e riservatezza. Come sempre. Quando l’ha colpito l’ictus e non poteva più parlare, mi hanno raccontato che una lacrima traditrice ha svelato agli amici la consapevolezza della sua condizione. È perciò che ha deciso – così mi piace pensare – di andarsene senza disturbare nessuno. Perché era una persona educata, civilissima. Non poteva accettare di essere di peso a qualcuno.

Gli amici che vorranno salutare il caro Franco potranno farlo alla Casa Funeraria IFA di Via Donizetti 115, San Sisto, dalle ore 16:00 odierne.

Le esequie domani, 21 luglio, alle ore 16:00, nella chiesa di S. Agostino di piazza Lupattelli, al Borgo d'Oro. 

Al termine della cerimonia, gli attori del Dónca Gianfranco Zampetti e Leandro Corbucci daranno lettura di poesie scritte da Franco.

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