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INVIATO CITTADINO Liberazione di Perugia. La storia di don Baldassarre Santi, fucilato (a 39 anni) con l'accusa di omicidio

14 settembre 1860. Una storia poco conosciuta che devo al commediografo Artemio Giovagnoni il quale ne effettuò, e pubblicò, una ricerca storica rigorosa

Liberazione di Perugia. 14 settembre 1860. La storia di don Baldassarre Santi, fucilato (a 39 anni) con l’accusa di aver ucciso un tamburino dell’esercito piemontese. Storia poco conosciuta che devo al commediografo Artemio Giovagnoni il quale ne effettuò, e pubblicò, una ricerca storica rigorosa. Mi donò quell’opuscolo (“Le truppe piemontesi a Perugia e il caso Santi”) una ventina di anni fa, come memento di un atto ingiusto, sul quale non ritenne fattibile scrivere un dramma. Peccato. 

FOTO - La storia di don Baldassarre Santi, fucilato (a 39 anni) con l'accusa di omicidio

LA PREMESSA. Le truppe di Manfredi Fanti erano entrate da Porta S. Antonio. Dopo la resa dei soldati della Fortezza Paolina, gli uomini dello Schmidt furono convogliati in cattedrale, col consenso del cardinale Gioacchino Pecci, vescovo di Perugia e futuro Papa Leone XIII. Ci vollero giorni per ripulire la chiesa dalle immondezze accumulate. Lo Schmidt fu inviato in Piemonte, su una carrozza camuffata, come prigioniero di guerra.

IL CHI È DELLA VITTIMA. Don Baldassarre Santi era nato a Perugia nel 1821. Frequentato il Collegio della Sapienza Oradina, era laureato in filosofia e teologia. Fu ordinato sacerdote a 22 anni e, nel 1843, nominato parroco di S. Donato, la cui chiesa si trovava a metà dell’attuale via Ulisse Rocchi, allora chiamata Via Vecchia [in tempi recenti vi ebbe sede la famosa Pizzeria del Baffo, poi chiusa. Oggi sta diventando un Centro benessere al servizio della soprastante struttura di ospitalità].

GLI EVENTI. Il 14 settembre 1860, don Santi fu arrestato dai militari piemontesi perché accusato di aver ucciso con una fucilata il capotamburo dei granatieri in salita verso l’acropoli.

Davanti alla chiesa, il tamburino cadde a terra e qualcuno gridò: “È stato il prete!”. I granatieri entrarono in chiesa, in sacrestia e in canonica. Afferrarono il prete “assassino” (?) e lo “processarono” irritualmente.

COLTO SUL FATTO? I militari dichiararono di aver trovato un fucile ancora caldo e il prete nascosto sotto delle fascine di legna. Ne conclusero che fosse il colpevole, malgrado si proclamasse innocente. Le prove sembravano schiaccianti.

SOTTO LE LOGGE DI BRACCIO. Venne improvvisato un simulacro di tribunale, con cinque ufficiali dei vari Corpi, sotto la presidenza del colonnello Gozzani. Un paio di testimoni asserirono che il colpo di fucile era partito dalla canonica e dunque il colpevole non poteva essere che il prete, accanito papalino. Ovvio!

I COLPEVOLISTI. Giustiniano degli Azzi e Luigi Bonazzi, entrambi colpevolisti, affermano che, anche se Santi non fosse stato colpevole, di certo era complice di qualcuno che lui sapeva essere l’assassino. Anche Uguccione Ranieri di Sorbello parla di 15 testimoni con la Corte marziale che sentenzia la fucilazione e Fanti che firma l’esecuzione per dare una lezione.

GLI INNOCENTISTI. Fra essi la storica Maria Lupi e il conte Luigi Rossi Scotti. Sostengono l’impossibilità fisica che il colpo fosse partito da una finestra della chiesa. Probabilmente lo sparo provenne da altra finestra di via Vecchia o da piazza Ansidei, ossia dal lato opposto. La balistica… questa sconosciuta.

IL RUOLO DELLE SORELLE. Le due sorelle del parroco, con lui conviventi, ebbero la pessima idea di far nascondere il Santi. A seguito di questa dolorosa vicenda, persero la ragione e una delle due fu ricoverata al Manicomio di Santa Margherita. Risentirono di quel trauma per tutta la vita.

LA BALLA DEL FUCILE. Si sostiene peraltro che né fucile né altra arma da fuoco sia stata trovata e che tutto fosse architettato per saldare i conti con la chiesa e i papalini. Indagini frettolose? Molto peggio!

IL SACCHEGGIO. Il giorno stesso dell’arresto, la casa del prete fu saccheggiata da sciacalli che portarono via 2500 lire del clero, argenteria, biancheria, grano, vino, legna. Olio e grano furono gettati per la via. I beni rubati non erano personali, ma della parrocchia. Il parroco successivo dovette restorarli.

L’ESECUZIONE. La mattina del 15 settembre 1860 il Santi prende la comunione, chiede di leggere il breviario della giornata, raccomanda le sorelle e giura sul Santissimo di essere innocente. Viene condotto alla Paolina, attraverso corso Vannucci, pieno di gente che lo oltraggiava.

FORSE IL FRATELLO. Giovagnoni propende per una possibile responsabilità del fratello Filippo, anche lui convivente, che sarebbe scappato da via Bartolo e che il Santi avrebbe voluto proteggere. Non sentendosela, poi, di denunciarne la colpa.

UNA FINE DIGNITOSA. Finito di leggere la Passione di Cristo, il sacerdote baciò l’immagine di Gesù Crocifisso e disse all’ufficiale: “Vi ringrazio, sono pronto”.

Dopo l’esecuzione, il corpo fu caricato su una carretta, tra gli applausi della folla. Non si conosce il luogo della sepoltura. Gli atti del processo furono distrutti. Forse la furia popolare aveva sacrificato un innocente.

Commentò il vescovo Giuseppe Chiaretti: “I rituali di guerra prevedono certe immolazioni propiziatorie”.

Ecco perché oggi, nell’anniversario del doloroso evento, mi pare giusto ricordare don Santi. Vittima incolpevole. Forse.

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