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INVIATO CITTADINO Lode e onore alla Ciaramicola

Dolcezza pasquale di chiaro ascendente identitario. Nella forma e nei colori

Restano gli ultimi avanzi di CIARAMICOLA. Facciamo un focus su storia e tradizione di questa dolcezza pasquale di chiaro ascendente identitario. Nella forma e nei colori. Almeno così era in tempi pre-consumistici come gli attuali. Quando la ciaramicola si trova ormai tutto l’anno.

Sapori e saperi antichi. Cominciamo dal nome. Quel nome perugino sa tanto di sapori e di saperi antichi e lingue originarie, come quella dei nostri padri: il latino. Frammenti di classicità nella denominazione del nostro dolce pasquale, fra dolcezza e spiritualità, fra tradizione vera e… inventata.

Deriva da clara + mica. CLARA, infatti, significa “famosa”, ma sta anche per “chiara”. E si riferisce al fatto che nella preparazione si usa proprio la chiara dell’uovo.

Quale il rapporto del colore dell’albume con la preparazione gastronomica? Prima di tutto nel fatto che, per la superficie, viene usata la chiara dell’uovo, che è bianca. L’albume (dal latino “albus” = “bianco”) costituisce, per così dire, la parte più alta e “spirituale”, completando il giallo-rosso solido del tuorlo.

Trasparente e poi bianco latte. E poi noto che, da cruda, la chiara è quasi trasparente e incolore, mentre diventa inequivocabilmente bianca, una volta cotta, sia nel banalissimo uovo al tegamino che nella più sofisticata guarnizione bianca della superficie della ciaramicola. Che può essere croccante, come crosticina, oppure tenera e appiccicosa. Ma in quest’ultimo caso c’è la scomodità che, tagliandola a fette, il prodotto si appiccica alla lama.

Chiara come la luce della Rinascita. Resurrectio, dunque, col bianco riconducibile al simbolo della rinascita, in linea con la festività che celebra la resurrezione del Cristo.

MICA è invece la mollica. D’altra parte, MICA (“briciola, pizzico, granello”) è la mollica del pane e, per analogia, la parte più solida del dolce.

Nella preparazione, l’impasto è fatto con zucchero, farina e alchermes (detto “archèmse”, in perugino). È questo liquore a conferire il colorito rosato alla pasta.

Le cinque montagnole. In origine il dolce veniva realizzato con cinque montagnole corrispondenti ai cinque Rioni. Al centro si poneva una quinta pallina a simboleggiare la Fontana Maggiore. Tra una montagnola e l’altra correvano le vie regali che si dipanano dalla Fontana di fra’ Bevignate.

I colori dei Rioni perugini. Secondo tradizione, le codette (“cecini”) della decorazione dovrebbero rispecchiare i colori dei rioni: rosso per Porta Sant’Angelo (rosso del fuoco alimentato dalla legna), verde per Porta Eburnea (la vegetazione degli orti), bianco per Porta Sole (bianco dei travertini o della farina), giallo per Porta San Pietro (il biondo grano del Pian del Tevere), celeste per Porta Santa Susanna (il colore del Lago che conferiva il pesce).

Oggi solo un buco in mezzo e colori delle codette… a casaccio. Ricordo di avere visto una sola volta (dalla Maestra pasticcera Carla Schucani-Sandri) una ciaramicola coi cinque tagli, allusivamente riferita alle cinque vie regali che si ricongiungono al centro nell’immagine della Fontana Maggiore. Oggi si vedono ciaramicole col buco il mezzo o addirittura con la montagnola. Ma delle cinque vie regali non c’è traccia. E i colori sono dati “a spaglio”. O tempora, o mores!

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