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Venerdì, 26 Aprile 2024
Cronaca Corciano

Corciano, la Comunità montana "sfratta" il bar dal parco: battaglia davanti al Tar per il contratto

Per i giudici amministrativi le richieste dell'ente accorciano solo i tempi della concessione, ma non escludono un rinnovo della convenzione

La Comunità montana riduce della metà (all’incirca) la durata del diritto di superficie per i locali del bar-ristorante del parco del Colle della Trinità e il gestore, che ha fatto investimenti sostanziosi, non ci sta a dover lasciare tutto prima.

Il titolare dell’attività, difeso dall’avvocato Alessandro Longo, ha fatto ricorso al Tribunale amministrativo regionale dell’Umbria, contro la decisione della Comunità montana – Associazione dei Comuni “Trasimeno – Medio Tevere”, chiedendo l’annullamento dell’atto “con cui si è disposto di ridurre, da quaranta a ventotto anni, la durata del diritto di superficie concesso al ricorrente e di subordinare il mantenimento della convenzione alla sottoscrizione da parte del concessionario di una polizza fideiussoria in favore della Comunità montana pari al valore del bene così come stimato nella convenzione stessa”.

Il ricorrente, che gestisce un’attività di bar e ristoro in località Monte Malbe – La Trinità nel comune di Corciano”, ha realizzato la struttura su un terreno posto all’interno di un parco di proprietà della Comunità montana – Associazione dei Comuni “Trasimeno – Medio Tevere”, sulla base di un accordo del 1995, che prevede il rilascio della concessione del diritto di superficie per una durata di quaranta anni, dietro corrispettivo di 10.000.000 milioni di lire per l’intera durata del rapporto e “con previsione che alla scadenza le opere realizzate sarebbero divenute di proprietà della Comunità montana senza che il concessionario potesse vantare alcun compenso”.

A maggio del 2017 la Comunità montana aveva richiesto al titolare “informazioni e documentazione relative ai titoli abilitativi ottenuti per la realizzazione della struttura, ai manufatti effettivamente realizzati ed alle attività svolte per la manutenzione e la pulizia delle aree oggetto della concessione del diritto di superficie”. Il ricorrente forniva tutte le informazioni e la documentazione, oltre al rendiconto delle spese sostenute “per la realizzazione dell’immobile bar ristoro, della tettoia in legno con tamponatura, dell’impianto di irrigazione e del sistema di videosorveglianza”.

La Comunità montana rispondeva che erano necessarie una relazione tecnica relativa ai lavori effettuati e una perizia giurata sui costi. Il tutto veniva fornito, con tanto di stima di 200.515,34 euro di valore delle opere realizzate dal concessionario.

La Comunità montana, però, non era d’accordo, sostenendo “che il più probabile valore totale delle opere realizzate da parte del concessionario è stato stimato in 88.321,83 euro”, invece dei 250 milioni di lire pattuiti nel 1995, da cui discendeva la “necessità di ricondurre la durata del diritto di superficie ad una durata di 28 anni con scadenza 2023”, con l’obbligo di “conservare l’impianto in normale stato di manutenzione così da poterlo riconsegnare al termine della concessione in stato di efficienza”, magari attraverso una “polizza fideiussoria da parte del concessionario per l’importo stimato di 125.000 euro come da convenzione stipulata”.

I giudici amministrativi hanno “rilevato d’ufficio la questione della possibile inammissibilità del ricorso per mancanza di immediata lesività dell’atto impugnato”. Per i magistrati “muovendo dalla considerazione della differenza tra l’importo stimato dei lavori eseguiti (88mila euro per l’ente, ndr) e quello previsto nel contratto (200 milioni di lire, ndr)”, si aprono due scenari: il “recesso anticipato (espressione che sembra alludere, invero, alla risoluzione per inadempimento)” oppure il mantenimento “in essere della concessione, ma con una durata ridotta a 28 anni, con scadenza al 2023, proporzionata al valore stimato delle opere”.

In altre parole, l’atto della Comunità montana non toglie la titolarità del bene al ricorrente (insomma non lo sfratta), ma pone solo le basi per un nuovo accordo.

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