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Cronaca

Piano sanitario regionale, l'Intersindacale medica dell'Umbria contesta: "Avevamo chiesto di fare l'esatto contrario"

Secondo il sindacato sanitario si va verso una riduzione degli investimenti sul territorio, accentrando l'erogazione dei servizi

L’Intersindacale medica dell’Umbria contesta le linee strategiche del nuovo piano sanitario regionale del 26 febbraio del 2021.

Contestazioni che iniziano dal mancato coinvolgimento delle organizzazioni sindacali e proseguono con le “forti perplessità sul metodo finora utilizzato, che evidenzia l’avvio di un percorso non lineare – si legge in una nota – rispetto alla tempistica e ai provvedimenti che si renderanno necessari se si vogliono condividere i passaggi più importanti per risolvere le criticità del sistema, particolarmente acuite durante la pandemia da Covid-19”.

Secondo l’Intersindacale medica dell’Umbria “nel documento relativo alle linee strategiche emergono subito alcune incongruenze tra le criticità, le azioni previste per le principali priorità da affrontare, in relazione alla normativa nazionale vigente e alla certificata scarsità di investimenti per il territorio, a partire dal dipartimento di prevenzione”.

Per l’associazione sindacale che riunisce medici e veterinari, “analoghe preoccupazioni suscitano le modalità con le quali vengono trattati gli altri temi” nel piano sanitario regionale “soprattutto qualora dovessero essere affrontati senza attivare un percorso realmente condiviso” con l’Intersindacale che ha “già più volte formalizzato all’assessorato competente tutte le problematiche ritenute più urgenti da risolvere”. Per i medici si sta facendo l'esatto contrario di quanto si dovrebbe fare, soprattutto dopo quanto l'emergenza sanitaria da Coronavirus ha mostrato, sottolineando i limiti della sanità.

Il nuovo piano sanitario, secondo le critiche dei medici, quindi, prevede una riduzione degli investimento sul territorio e un accentramento dei punti di erogazione dei servizi. Un piano sanitario al risparmio che alla luce di una lettura critica, potrebbe portare alla creazione di un’Azienda sanitaria unica (fino a qualche anno fa in Umbria erano 4) con 5 o 6 distretti territoriali e due Aziende ospedaliere, con quella di Terni che è attualmente in deroga.

Cosa potrebbe significare per gli utenti? Potrebbe significare un impoverimento dell’assistenza territoriale e domiciliare, riduzione dei punti di erogazione dei servizi e un Dipartimento di prevenzione interaziendale che accentrerebbe tutto in una regione piccola sì, ma con seri problemi di collegamenti e infrastrutture. Tutto ciò che non si può fare nei distretti, quindi, costringerebbe al pendolarismo sanitario nei due maggiori centri umbri: Perugia e Terni.

Nel piano sanitario, così come analizzato dai sindacati di categoria, verrebbe minata ancora di più la capillarità dei medici di famiglia, con aggravamento di situazioni critiche, come ad esempio la fascia appenninica e della Valnerina (di pochi giorni fa l’allarme lanciato dalla sindaca di Monteleone di Spoleto dove ormai non ci sono più pediatri).

La sanità, quindi, appare sempre più in mano ai tecnici contabili, preoccupati di far quadrare il bilancio, sulla base del decreto ministreriale 70 (Letta/Renzi) che animato da un'idea di assistenza sanitaria generale.

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