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Cronaca

Correva l'Anno di Marco Saioni | 1911, gara di automobili invade il Ponte. La rabbia dei cittadini: “T’arbuldicaste, almeno”

Sabato e domenica elettrizzanti. L’aria crepita di motori, colori e bella gente. Il futuro si svela all’Umbria, dove si corre la prima gara automobilistica. Seicento chilometri con partenza e arrivo a Perugia. Brividi di velocità e spasmi di modernismo attizzano l’adrenalina dei piloti, tutti gentlemen, of course, che si dice a fare. Nobili, professionisti, rampolli dell’aristocrazia locale fremono al volante dei bolidi. Alle sette di mattina le auto ringhianti si avventano sui tornanti che conducono a valle. La prima tappa è Todi. Oltre ai piloti, l’equipaggio include meccanico e commissario di gara.

La pianura del Tevere, indifferente all’evento, dispensa fitta nebbia, ma col manto di caligine non è il caso di trattare la resa, si procede per Terni, dove la gara inciampa. Nei pressi della città, la contadina ventisettenne Luisa Ragni, procedeva lentamente su un carretto a trazione animale, tra le braccia il suo bambino di pochi mesi. Il nitrito alieno dei venticinque cavalli a vapore agitò l’unico di carne e ossa, tanto da disarcionare i passeggeri del legnetto. La sterzata dell’ing. Ferrini, volta a scansare l’impatto, non valse a evitare il peggio. Madre morta sul colpo, il piccolo all’ospedale, dove anche lui si mise a morire. Ma allora come oggi, the show must go on. Dunque si va avanti. Solo il giovane onorevole Gallenga Stuart ritenne che non fosse più il caso e abbandonò la gara.

La sostanziale indifferenza verso la tragedia non dissuase gli organizzatori dal perseguire lo scopo, quello di promuovere l’immagine della regione ai fini turistici. E vai a tavoletta dunque, anche se perdi un commissario di gara, Ottaviani Stanislao, che per la rottura del seggiolino posteriore vola via all’indietro, baffi e sciarpa al vento, atterrando malamente sul coccige. Replica a San Valentino dove un’auto irrompe in una fiera con trambusto di uomini e animali, fughe e polvere, feriti e contusi, sciame di piume, eccidio di pollame. Ponte San Giovanni. La via che fende il paese è l’ultimo tratto da percorrere, prima del gomitolo di curve che promettono Perugia arrancando per un tragitto acclive.

Sarà che il ponteggiano tendeva a ignorare gli stralunati versi dei futuristi, quel Marinetti Filippo Tommaso, in primis, col trip per l’auto da corsa, ebbra di spazi e avida d’orizzonti, veloce per le bianche strade del mondo. E già, era proprio la velocità a sollevare un polverone da incipriare l’abito buono della domenica, oltre ad irritare il paesano che si godeva il giorno di festa. Senza parlare di quel chiasso puzzolente. Da cui il ricorso urlato dei passanti, già allenati a esercitare il congiuntivo ottativo, il cui esito, riferito dal cronista, contemplava auspici del tipo: “Te scollaste” “t’arbuldicaste, almeno” “Te piasse na paralise“ ma anche il classico ” l’osso del colloo”. Presente, tra gli altri, il più laconico e misurato “nn ho voia de discorre” che però dice tutto.

Alla fine restano i resoconti della stampa, tra i quali torreggia il Giornale d’Italia. Bella la corsa, esito ottimo, peccato quelle contestazioni. Il quotidiano nazionale ce l’ha con gli abitanti di Ponte San Giovanni, rei di aver apostrofato con toni irrispettosi gli eroici piloti. E poi, suvvia, quella contadina minacciosa con roncola volteggiante. Com’era possibile che i ponteggiani fossero ostili a quel tumulto ardito, a quella libidine per motori e velocità? Doveva esserci altro. Certamente lo zampino dei socialisti. Non che fossero entusiasti, loro, i socialisti, dati i titoli de La Battaglia, tipo, “La corsa della morte” o “Lo sport signorile”.  Posizioni intollerabili per l’Unione Liberale, schierata con l’automobile e la velocità, e pazienza per i rischi, contro chi pensa ancora alle corse con i muli. In realtà non è che l’Umbria del 1911 fosse percepita come un’officina del pensiero, lesta ad accogliere le magnifiche sorti del progresso tecnologico. Ma al Ponte dovranno in ogni caso rassegnarsi. Non saranno le invettive a fermare il progresso. Insomma uno scontro tra civiltà e barbarie.

La scelta di buttarla in politica non dovette convincere più di tanto, giacché un assennato automobilista, uso a percorrere quel tratto ogni giorno, avvertì la necessità di scrivere all’Unione Liberale. Al Ponte sono imbestialiti con i veicoli a motore – argomenta - poiché nell’unica strada del paese passano “almeno cinquanta automobili al giorno” sollevando dense nubi di polvere, per la gioia di uomini e animali. Proteste e ingiurie sono dunque quotidiane. Del resto gli automobilisti, per rimarcare la propria diversità rispetto al villico immobile e passatista, accelerano l’andatura, rombando e strombazzando a ridosso delle case. Ma le guardie? 

Quelle sono lì solo per multare i carbonai che lasciano incustodito mulo e carretto quando si concedono qualche bicchiere all’osteria. Eppure la soluzione, signori del Comune, sarebbe semplice, asfaltare la strada. Per la cronaca, il piemontese, conte Beria d’Argentine si aggiudicò la gara.

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