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Lunedì, 29 Aprile 2024
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PERUGINERIE Spigolature linguistiche e antropologiche sul BINDLONE di via Enrico da Pozzo

Detti e contraddetti intrisi di… peruginità. Quando la lingua è storia

A margine dell’incidente occorso al Kandinsky club

Circa il lemma bindlo, abbiamo già detto. Ci limiteremmo dunque a ricordare che il termine, in perugino, sta per “sfaticato, fannullone, perditempo”. E come l’espressione gi a bindlo, significhi “andare in giro a zonzo, senza coltivare attività precise, senza uno scopo”.

Discorsi e funerali. Abbiamo ricordato che ai piedi della Porta di  San Simone, nello slargo adiacente all’attuale pub, fosse solito fermarsi il corteo dell’accompagno e il popolo si attardasse ad ascoltare l’elogio funebre del de cuius.

La circostanza è ampiamente documentata. In proposito, dopo un’adeguata premessa, c’è un’espressione che vale la pena di ricordare.

L’acquisto della cera “a consumo”. Era costume che amici, parenti, vicini che partecipavano alle esequie portassero una torcia. Solitamente la si prendeva a noleggio da Bindocci, in piazza Grimana.

Come funzionava il pagamento. La torcia veniva pesata al ritiro e poi ripesata alla riconsegna. Si pagava la quantità di cera consumata. Da qui il detto Sbrigàmoce: diquì l morto n camina e la cera se conzuma!

Il marito anaffettivo e beone. Uno spiritoso aneddoto riferisce il comportamento di un marito, diciamo così, poco empatico. Dopo aver partecipato al funerale della moglie, risalendo da Fontenòvo (così è detta la via Dal Pozzo), si sarebbe fermato davanti al Bindlone, dicendo a un amico Diquì, trilla e baralla, chi fa na cosa chi ne fa nantra, én fatto mezzogiorno. L zè che facémo? Gin a beve al Bindlone!

Clienti in piedi e seduti. Il locale aveva una vasta clientela popolare. Operai e artigiani. E anche quella dei soldati del 51.mo di fanteria, di stanza alla Caserma Fortebraccio di corso Garibaldi. Naturalmente, ciascuno prendeva il cibo e il vino che poteva permettersi. Venendo all’attività di ristorazione e mescita di vino, si dice che al Bindlone fosse esposto un cartello che, più o meno, recitava Chi magna i ceci cià l banchetto, chi magna l fiettato sta ritto.

Semplice la spiegazione. Considerando che il locale non era grandissimo e la clientela numerosa, l’avventore che consumava un piatto di pasta o minestra, carne o verdura (e che spendeva di più), aveva diritto a sedersi. Chi invece prendeva un panino e una bevuta poteva/doveva restare in piedi.

È bellissima l’espressione trilla e baralla che vale “tira e molla/alla fin fine”.

Come nasce la Casa di Riposo. Nell’ultimo quarto di secolo dell’Ottocento, a seguito della morte per freddo di tal Ucellino (evidente soprannome di un poveraccio), il vescovo di Perugia Vincenzo Gioacchino Raffaele Luigi Pecci, Futuro papa Leone XIII (sì, quello della Rerum Novarum!) dona la somma di 10 mila lire per fondare un ricovero che sarebbe poi diventato i Bonvecchi de Fontenòvo.

Giù per Fontenòvo. Per commentare una previsione sbagliata, o un decesso imprevisto, si diceva Facén come quillo che stéva béne… e l giorno dopo per Fontenòvo.

A significare l’essere caduto in povertà, si diceva gi a finì giù a Fontenovo.

Ecco alcune perle di peruginità che l’incidente e la distruzione dell’ingresso del Kandinsky ci ha fatto ricordare.

Foto - L'incidente e la storia del BINDLONE

(Foto esclusive Sandro Allegrini)

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