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Correva l'anno di Marco Saioni | Perugia, 1904 – Musica, sesso, alcool e bastonate. La festicciola finisce male

Non passò inosservata quella luce animata al primo piano, e di certo neanche canzoni e voci che colavano dalla finestra in Corso Garibaldi, quattro passi da Porta S.Angelo

Poche orecchie, nel 1904, potevano ascoltare musica fuori dal teatro o in altro luogo pubblico, quando proposta dalla banda cittadina. La “macchina parlante” chiamata grammofono, diffusasi ovunque velocemente, lo consentiva. Un meccanismo a molle faceva girare un supporto, il disco, da cui fluivano le note, amplificate da una sorta di tromba ottonata. La tecnologia dell’epoca permetteva solo esecuzioni di breve durata, escludendo pertanto il repertorio di musica classica. La forma canzone, quella sì che si adattava perfettamente, così la strategia commerciale si orientò sul già vasto catalogo della produzione napoletana. Si ascoltava quindi la struggente “te vurria vasa" “ o vivaci tarantelle, qualche aria più famosa, tipica del melodramma, come “e lucean le stelle”. Insomma le hits del momento fluivano da certi solchi concentrici incisi sul disco di gommalacca.

Non passò inosservata quella luce animata al primo piano, e di certo neanche canzoni e voci che colavano dallaballi finestra in Corso Garibaldi, quattro passi da Porta S.Angelo. A giudicare dalle generose porzioni di pelle offerte agli occhi, quella notte lasciava supporre un party quantomeno effervescente. Da Amelia, l’affittacamere, risiedevano, infatti, alcuni studenti e due disinvolte signorine, “donnine allegre” per il cronista. Ormoni in tumulto, data l’età, e la libidine di fare festa, magari  anche per placare lo stress da studio, avevano indotto il piccolo gruppo a disertare leproprie camerette per riunirsi nel soggiorno comune. Il grammofono che girava, i balli sempre più intrepidi, in breve solo ingorghi di corpi, poi le curve lattescenti e burrose delle ballerine, ormai discintissime e in frenesia alcolica, non lasciavano dubbi. Anche da fuori s’intuiva che quella festicciola andava assumendo una schietta dimensione dionisiaca, Menadi e Satiri compresi.

Immersi nel baccanale, i protagonisti ci misero un po’ad avvertire quegli incalzanti colpi all’uscio di casa. Proteste per troppo rumore? Non proprio, piuttosto una richiesta di trattativa. Dietro la porta, una comitiva di sei giovani, non esattamente dei lord, insisteva per entrare e condividere quei momenti di piacevole svago. Si sentivano autorizzati, dopotutto si trattava mica di qualche dopo cena elegante, di quelle infrequentabili per i figli del popolo. E no, si rispose, quella era una festa privata e troppo, troppo intima. Ogni altro partecipante, specie se maschio, sarebbe stato dunque indiscutibilmente superfluo. Irritati dall’atteggiamento di chiusura, gli esclusi intensificarono la protesta con il lancio incessante di sassi verso le finestre, dalle imposte ormai serrate. Un assedio crepitante di voci e motteggi ispirati al catalogo disponibile nelle bettole più luride del reame, avviliva la musica, frastornando le orecchie. Si affacciarono in gruppo in “costume adamitico”, tanto per provocare. Fu allora scambio reciproco d’insulti infamanti, poi ecco il chiasso secco da colpi di pistola, forse intimidatori, in ogni caso senza danni. Sta di fatto che la vicenda con festa ormai dissolta, indusse all’ira funestissima i ballerini, che si fecero guerrieri, le Menadi, Amazzoni, seppure senza archi e frecce. Tutti, sommariamente vestiti, invasero la via per attuare la sacrosanta controffensiva. L’eros interruptus pretendeva vendetta.

Un rovescio rabbioso di calci, pugni, bastonate animò quel gruppo forsennato e latrante. Il clamore della mischia giunse tuttavia all’orecchio attento del tenente Bellucci, di picchetto lì vicino. In breve accorsero anche i Reali carabinieri. Ma tutti furono rapidamente inghiottiti dai vicoli scuri, gli studenti, in camera loro, salvo un ferito che a terra si lamentava: “Vigliacchi. Sei contro uno”. Fu condotto in ospedale e interrogato a lungo dai carabinieri. Nessuna ferita da arma da fuoco, solo contusioni guaribili in pochi giorni. Degli assalitori non sapeva nulla, mai visti quelli lì. Le indagini avrebbero poi identificato nei calzolai Tosti Umberto e Salucci Alfredo, due tra i più irruenti e decisi a violare la proprietà privata. In fondo di questo si trattava. Abitavano, ovviamente, in via dei Pellari, proprio come il ferito, che sosteneva di non conoscerli. Il vicolo, si sa, è il luogo per eccellenza, deputato all’ossequio dell’anonimato.

L’autorità di pubblica sicurezza fu inflessibile con Amelia, l’affittacamere, imponendole l’immediato allontanamento delle due signorine, pena la confisca della licenza, essendo loro e solo loro ritenute causa scatenante della pericolosa baruffa che aveva visto contrapposti alcuni studenti e due calzolai. Dunque foglio di via dalla città.
Quel conflitto fra intellettuali e popolo poteva costare caro. Ma la politica non c’entrava. Gli artigiani della pelle avevano solo difeso il presunto diritto alla socializzazione della libido.
 

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