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Gli studenti stranieri protagonisti di nove racconti: sullo sfondo piazze e scorci di Perugia

Perugia al centro di una narrazione letteraria. Presentato, all'Università, un libro che parla di studenti, persone che vengono nella città del Grifo per l’apprendimento della lingua e della cultura italiana

Perugia al centro di una narrazione letteraria. Presentato, alla Stranieri, un libro che parla di stranieri: s’intitola “Stranieri”. Come trovare maggior coerenza? E, una volta tanto, non si tratta d’immigrazione, ma di persone che vengono nella città del Grifo per l’apprendimento della lingua e della cultura italiana (un discorso a parte per i greci sfuggiti dal regime dei colonnelli).

Si fonda, infatti, su elementi esperienziali il libro scritto da Valeria Ventura, già docente di italianistica a Palazzo Gallenga.Ne hanno parlato con l’autrice, alla presenza di un numeroso pubblico, i colleghi Natale Fioretti e Roberto De Romanis, con ampi stralci di lettura di parte delle nove storie.

I 9 racconti (Tozzuolo editore) hanno per protagonisti altrettanti studenti, calati nel palcoscenico della Vetusta, realtà urbana di cui s’intravedono le strade e le piazze assolate o spazzate dalla gelida tramontana.

Il maggior merito del volume sta nel fatto che la Ventura non affronta i racconti col classico, abusato armamentario di carattere teorico, ma lascia filtrare, con tono leggero, quasi calviniano, le vicende di individui, con le loro coloriture fisiche, ma anche linguistiche e antropologiche. Consegnando al lettore – come nota il prefatore Paolo Bartoli – “il compito di immaginare corsi di eventi o mondi possibili”. Perché questo è il compito della letteratura: chiamare in causa, pro-vocare il lettore.

Si tratta di narrazioni condotte con garbo e perizia, da una scrittrice finto-istintiva, in realtà consumata e abile nel labor limae lessicale e sintattico: per rendere un’affabulazione assai vicina all’oralità. Con frasi sconclusionate e linguaggi arditi. Ma mentre il logografo greco Erodoto guardava e ascoltava parlare i non-greci, definendoli “barbari” (coloro che parlano facendo bla-bla),  da parte di Valeria non c’è la supponenza di sentirsi superiore. C’è, anzi, uno sguardo comprensivo, anche se velato di ironia.

Punti di vista diversi e complementari: guardarsi tra stranieri, come gli italiani guardano gli stranieri e viceversa. Guardarsi e, talvolta, giudicarsi. Mettersi l’uno a fianco dell’altro, o anche l’uno ‘contro’ l’altro. Arrabbiarsi per presunte ingiustizie e incomprensioni: come quel cinese che si adira quando qualcuno lo scambia per giapponese, pur essendo lui, e sentendosi, così profondamente diverso.

E poi la battuta – condivisa dal pubblico con assensi e risatine – sulla convinzione che il miglior luogo per imparare una lingua straniera sia andare a letto… non da soli. Ma si deve anche autogiudicarsi, o quanto meno esercitare l’autocoscienza, come l’autrice fa nel racconto “Voci”, in cui chiama in causa se stessa.

Perché ogni giorno capita di sentirsi diversi: ognuno può essere o avvertirsi come straniero rispetto all’altro. E, qualche volta, perfino  a se stesso.

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