Rogo Biondi, sei persone davanti al giudice per traffico illecito di rifiuti, incendio colposo
La Procura di Perugia contesta anche il falso ideologico e violazioni al codice dell'ambiente in danno alla salute pubblica
Sei persone e una società sono finite davanti al giudice per l’udienza preliminare con l’accusa di traffico illecito di rifiuti, incendio colposo, falso ideologico e violazioni al codice dell'ambiente in danno alla salute pubblica.
Le accuse sono scaturite dalle indagini per il rogo alla Biondi recuperi del marzo del 2019 e hanno portato alla richiesta di rinvio a giudizio avanzata dai sostituti procuratori Giuseppe Petrazzini e Laura Reale.
Il 10 marzo del 2019, era domenica, una nube nera si era improvvisamente alzata dalla sede della Biondi in via Bina a Ponte San Giovanni, spostandosi verso Ponte Felcino, Ponte Valleceppi, Bosco e Ponte Pattoli, visibile fino a Deruta in direzione opposta. Immediato l’intervento dei Vigili del fuoco che avevano lavorato ore per domare le fiamme e avviare le prime indagini sul rogo.
I cittadini si erano chiusi in casa per i rischi legati all'aria tossica e al fumo proveniente dai rifiuti speciali che bruciavano. Il sindaco di Perugia aveva subito adottato un’ordinanza che vietata attingimenti di acqua e consumo di prodotti ortofrutticoli coltivati nella zona.
Gli indagati, difesi dagli avvocati Nicola Di Mario, Michele Nannarone, Gian Luca Pernazza, Luisa Liberatori, Francesco Falcinelli, Michele Bromuri e Roberto Spolti, sono accusati, a vario titolo, di aver causato “per negligenza, imprudenza ed imperizia ovvero per non avere manutenuto l’impianto antincendio, che difatti non si attivava immediatamente all’inizio dell’evento incendiario, e per aver collocato ... il trituratore mobile di rifiuti nei pressi dei cumuli di rifiuti stoccati presso l’impianto di via Bina, mezzo da cui scaturiva l’innesco dell’incendio a causa di un cortocircuito elettrico prodottosi nel caricabatteria del telecomando del predetto macchinario” un incendio “di vaste proporzioni a seguito dell’incenerimento degli ingenti quantitativi di rifiuti urbani e speciali pericolosi e non stoccati”.
I rifiuti, secondo la Procura di Perugia, sarebbero stati fuorilegge e fatti passare per normali prodotti da smaltire grazie a dichiarazioni false. I quantitativi di rifiuti combustibili nel certificato erano indicati in 1.800 tonnellate mentre quelli “autorizzati e realmente gestiti” sarebbero stati “pari a 5.040 tonnellate di cui 2.500 di plastica 2.500 di carta e cartone e 40 di pneumatici”. Lo scarto tra il quantitativo reale e quello dichiarato avrebbe permesso agli indagati di omettere l’adeguamento “dell’impianto anti incendio ai quantitativi reali di materiali/rifiuti combustibili gestiti”.
Nel corso delle indagini sarebbero emerse criticità relative al trattamento dei rifiuti dal 2016 al 2019, l’abusiva gestione di rifiuti speciali pericolosi e non, la manomissione di documenti con “dati incompleti o inesatti”, con circa 9.000 tonnellate di rifiuti spediti in altri centri di recupero o smaltiti illegalemente in discarica.
Il Comitato Molini di Fortebraccio, assistito dall'avvocato Valeria Passeri, è stato riconosciuto come parte offesa e ha deciso di costituirsi parte civile e a chiedere il risarcimento danni.