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La via dei mendicati: dalle finte suore ai professionisti della questua. I perugino corrono ai ripari ma senza successo

Un catalogo composito tra ciechi, storpi, gobbi, moncherini si dispone, specialmente durante i giorni di mercato, lungo la scalinata secondo rispettive zone d’influenza. Un continuo, assillante assedio piagnucoloso di auguri, lamenti, velate minacce che ammorba il passo. E’ ormai nota come la “via dei pezzenti”. Così, in buona sintesi, Il Corriere d’Italia, quotidiano romano, celebra uno dei più pregevoli scorci cittadini, il percorso acclive intitolato a Sant’ Ercolano. Anche la stampa locale ci mette del suo scagliandosi a giorni alterni contro “la turpe ostentazione di tutte le più mostruose e ributtanti nudità”. Quello dei professionisti dell’accattonaggio in trasferta, ovviamente anche dal meridione, è poi un incubo ricorrente dell’Unione Liberale. Hai voglia la questura a multare per mendicità, vite che valgono uno sputo e allenate al digiuno non le angustia la recidiva.

Ad attizzare la tesi del professionismo concorrono inoltre sporadici fatti, come quello delle due monachelle, molto attive nella questua in soccorso di certe orfanelle in un ospizio marchigiano. L’industriosa coppia, assai convincente, riusciva ad ottenere donazioni in denaro o in generi alimentari da parte di persone facoltose o da altri colleghi del clero. Non dal parroco di San Martino in Campo che più accorto a decifrare i segni, aveva ravvisato nel volto di una sorella l’ombra di una non perfetta rasatura. Era quella silenziosa e circospetta, la cui corporatura non doveva deporre per una novizia. In attesa dell’intervento dei carabinieri, si avvertì la popolazione delle campagne di evitare quella coppia fasulla. Precauzione magari superflua, vista la simpatia dei perugini di allora per i marchigiani.

Per contenere la piaga dell’elemosina selvaggia occorreva l’azione di volenterosi cittadini. Così la società dei commercianti lanciò l’idea, fondare “l’associazione contro l’accattonaggio”. Autofinanziamento con sottoscrizione di azioni da dodici lire l’una. Iniziativa lodatissima dalla stampa, in quanto umanitaria, volta a distinguere i poveri autentici dai mestieranti. Non si precisò come e cosa fare con gli spiantati doc. In certi casi può essere complicato, a meno di utilizzare il metodo adottato nella Francia nel 1209, durante la crociata per combattere gli eretici. Era impossibile identificare i cattolici dagli altri e quindi ci si rivolse al legato pontificio circa il metodo da seguire. Pare che la risposta fosse di ammazzarli tutti, Dio avrebbe poi distinto. Inutile precisare che l’eresia fu sconfitta.

Non essendo alla portata tale soluzione, i soci fondatori confidarono nel coinvolgimento che certamente non sarebbe mancato. Visto il malcontento per lo stato delle cose, l’iniziativa avrebbe sicuramente sollecitato interesse e partecipazione della cittadinanza tutta. Ipotesi che iniziò tuttavia a vacillare dopo i primi magri introiti. Si fissò dunque una soglia minima, almeno cinquecento azioni per dare modo all’associazione di operare. Il rilancio fu inoltre affidato a una robusta promozione messa in campo dal quotidiano, convintissimo patrocinatore della prima ora. Soccorso anche dal Touring club italiano che invitò gli albergatori a dare sostegno all’associazione per liberare la città “infestata dagli accattoni”. E che figura ci facciamo con i turisti stranieri!

Persino la pubblicazione dei nomi e le quote dei sottoscrittori, una schiera di nobili, avvocati, professori, insomma gli esponenti arcinoti della Perugia bene, non sollecitò emulazioni da parte della collettività. Anche probabilmente per i risicati versamenti della classe abbiente, di solito una sola, striminzita azione. Fece eccezione il presidente, marchese Ranieri di Sorbello, che contribuì con dieci. Certo, leggere che pezzi da novanta, come l’on. Avvocato Cesare Fani, Gallegna Stuart, Faina, Buitoni e simili di analoga portata se la cavavano con dodici o ventiquattro lire, non dovette spronare mani verso il portafoglio. I propositi, seppure vaghi, dell’associazione restarono così sulla carta, attirandosi sempre più critiche di manifesta inutilità.

Dopo pochi mesi finì come doveva finire. Con una lettera all’Unione Liberale, il presidente rassegnò le dimissioni, insieme a quelle dell’intero consiglio, imputando all’inerzia dei perugini il fallimento di una nobilissima impresa. Circa centoventi furono le azioni sottoscritte, un quinto rispetto all’obiettivo minimo dichiarato. Oltre al progetto bislacco, gli ideatori difettarono in analisi sociologiche e buon senso. Erano infatti troppi coloro che non masticavano cena e la miseria era severa da scotennare gli alberi. Avevano inoltre sottovalutato il proverbiale disincanto del perugino, pronto a bollare come “bucciottata” ogni cosa priva di concretezza, ma soprattutto, è il caso di dirlo, il suo braccino corto.

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