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INVIATO CITTADINO Ponte San Giovanni chiama Ponte Felcino

La primazia dei Ponti in fatto di illuminazione

Quando quel geniaccio di Basilio Mastrodicasa (1858-1942) pronunciò, a Ponte Felcino, il fatidico FIAT LUX.

Non ci fu solo Alfonso Scudellari di Ponte San Giovanni, fra i pionieri della pubblica (e privata) illuminazione.

Ma ci fu anche un altro ponteggiano, stavolta di Ponte Felcino, della stirpe gloriosa dei Mastrodicasa (fra i quali Sisto, padre del consolidamento strutturale degli edifici) a portare la luce.

Ce ne conferisce elementi di conoscenza l’amico Stefano Vicarelli, scrittore poligrafo e storico ponteggiano.

Inizia presentando le imprese di Basilio Mastrodicasa, distintosi in veste di costruttore edile e realizzatore di opere di bonifica in Valdichiana.

Ma non gli bastò. Tanto che si dedicò fruttuosamente alla produzione di energia elettrica.

Racconta Stefano: “Nel 1911, insieme al figlio Lavio, aveva impiantato, in un locale annesso alla sua abitazione, un molino a palmenti, azionato da un motore tedesco alimentato ad olio pesante".  

"L’anno seguente, resosi conto che la potenza erogata dal motore era di gran lunga eccedente le necessità del molino, ebbe l’intuizione di collegare alla macchina motrice un alternatore che, sfruttando il movimento meccanico, generava energia elettrica".

E così? “Tutte le famiglie del paese, pagando a Basilio una modesta bolletta, ebbero a disposizione la luce elettrica. Possiamo dunque affermare che Ponte Felcino fosse all’avanguardia nel campo dei servizi elettrici”.

C’è poi la questione della centrale del Lanificio, vero? “Già dalla fine dell’Ottocento, il Lanificio si alimentava grazie ad una sua privata centrale idroelettrica, forse la prima in Umbria, voluta e realizzata da Lucio Bonucci, trasformando in centrale un medievale molino sul Tevere a propulsione idraulica in località La Catasta”.

Fu anche realizzata l’illuminazione del paese. “Quanto all’illuminazione pubblica, l’intraprendente Basilio pensò anche a quella: nelle vie di Ponte Felcino vennero installate diverse lampade a piatto, con i cavi che attraversavano l’abitato su pali di legno o mediante mensole applicate sui muri delle case, su cui svettavano tre o quattro grossi isolanti di porcellana bianca”.

Fu una svolta anche per la vita sociale. “Ogni sera, quando faceva buio, il buon Lavio si recava presso la centralissima casa del parroco e, con un lungo bastone, faceva scattare un interruttore generale a leva posto, in alto, sulla parete esterna del fabbricato. Così facendo, tutte le lampade pubbliche si accendevano”.

La gente ne usufruiva di buon grado. “La popolazione ne era così soddisfatta che, ancora si racconta, nelle calde serate d’estate, la locale banda filarmonica spesso si radunava senza preavviso e, alla luce di questi lampioni, offriva ai presenti una gradita esibizione musicale”.

Che fine fece poi questo esperimento? “L’impianto di produzione elettrica fu successivamente acquistato dall’UNES, società che, negli anni ’30, acquisì l’appalto per l’illuminazione di Perugia e di tutte le sue frazioni”.

Foto La pubblica illuminazione a Ponte Felcino ai primi del NOvecento

(Foto Stefano Vicarelli)

Conclusione: i Ponti battono Perugia 2-0. Ma è vero solo in parte perché nel capoluogo il sindaco Ulisse Rocchi aveva portato tram, illuminazione pubblica, realizzato il nuovo acquedotto. E fatta costruire la strada Nova, o “strada pazza”. Ossia l’attuale via Cesare Battisti. Un’altra volta spiegheremo il perché del nome attribuitole dai perugini. Pazzi più di lei.

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