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Lunedì, 29 Aprile 2024
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CORREVA L'ANNO di Marco Saioni | Perugia 1912 – La stazione è sbagliata e va annientata. Le donne in rivolta a Ponte Pattoli

Tutti a processo e tutti assolti perchè difficile identificare gli autori della distruzione. Un corteo scese dal centro d Perugia

C’era trambusto in redazione per via di una mezza rivolta popolare a Ponte Pattoli, dovuta, sembrava, a dissensi sul luogo scelto per edificare la stazione ferroviaria. Notizia da verificare ma non improbabile, visti i precedenti. Tutti ricordavano, infatti, quel tale bracciante e il tentativo di arresto da parte dei carabinieri di Resina. Lo avevano colto in possesso furtivo di ghianda, racimolata in un campo attiguo al suo. Fu subito spalleggiato da parenti e risoluto drappello di contadini, tutti a contendere e strattonare i militi, indotti presto alla resa dalla pattuglia d’insorti contro l’ordine costituito. La voce sui tumulti meritava immediato invio del  cronista, blocco note in mano per raccogliere e dettagliare sui fatti.

L’auto condotta dall’autista “Gustavo Cattani ha filato con una velocità impressionante” pure su fondi stradali sconnessi, puntualizza il redattore, lasciando trapelare qualche sconcerto rispetto all’impeto futurista dello chauffeur. Altrettanto rapido fu, all’arrivo, il pacifico assalto della popolazione, ben disposta a chiarire gli aspetti di quel dissenso, fiutata la presenza della stampa. La costruzione della stazione era un’esigenza corale, solo che il luogo scelto, Resina, non rispondeva  alle loro necessità. Sul percorso Pierantonio - Ponte Felcino erano, infatti, previste tre stazioni secondarie, equidistanti tra loro, a Parlesca, Resina e una nei pressi di un torrente. Oltre a ritenerle messe giù a casaccio, o come sosteneva qualcuno, per intervento di una potente famiglia, avrebbero costretto la comunità più numerosa, con oltre duemilacinquecento abitanti, a percorrere almeno due chilometri. 

Fu dunque uno spontaneo comizio popolare a definire una proposta alternativa, peraltro sostenuta con successive delibere dalle istituzioni locali, a loro volta impegnate a farsene promotrici presso il Ministero, seppure senza fretta. Il buon senso stava in ogni caso trionfando e la disputa sembrò risolta, pure in assenza di qualche
prescrizione ufficiale che ne avesse data attuazione.

Tale clima da “vacatio legis” dovette convincere l’appaltatore a procedere secondo quanto disposto all’origine, riprendendo i lavori a Resina, da cui la rivolta.
C’era tuttavia una notizia nella notizia, che il redattore rimarcò con malcelato stupore. A spiegare tutto erano due giovani donne dai pensieri scalpitanti “una simpatica moretta e una graziosa bionda”. Le donne, proprio loro, avrebbero aggregato la collettività, inducendo all’azione e alle quali ci si doveva rivolgere per l’intervista.

L’ira funestissima fu dirompente quando l’appaltatore, pure difronte al telegramma ministeriale recante l’invito di sospendere i lavori, fece di non capire, replicando con la frase “lasciateli chiacchierare quelli di Ponte Pattoli”. Il patto di comunità vilipeso andava risolto. Allora non abbiamo più chiacchierato, continuò la moretta, in centinaia, tra donne e ragazzi, armati di zappe e badili smantellammo i muretti che s’innalzavano, poi riempimmo di terra le fosse disposte per altre fondamenta. Ci piantammo anche delle viti per non lasciare il terreno improduttivo.

L’erigenda stazione fu rasa al suolo dalla risoluta insolenza degli attrezzi, il cantiere ammutolito. E’inutile, precisarono, che cerchiate fra gli uomini gli istigatori poiché siamo state noi donne, in mano la bandiera nazionale e il grido “avanti, avanti” a condurre la rivolta verso il sopruso. Annuirono gli uomini, rimarcando e bestemmiando con certa estrosità l’assenza degli amministratori, sempre pronti a promettere, sotto elezioni, poi latitanti. A sostenere la lotta era lui, il Guglielmo Miliocchi, acclamato repubblicano di ferro, sempre in direzione ostinata e contraria, qui presente come giornalista del settimanale “Il Popolo” e tanto che c’era non mancò di randellare l’amministrazione. Titolo del pezzo: Il popolo fa da sé.

In verità, fu anche il tenace parroco, Umberto Gallina, a ricoprire un ruolo attivo nella sedizione, tanto da insospettire i carabinieri. Che fosse addirittura il capofila? Era del resto tra gli insorti, anche se spronati dalla “moretta” donna intrepida, detta la “Fornara”. Il maresciallo lo puntò, dito inquisitorio, domandando chi fosse il capo. “il capo, signor maresciallo, ce l’hanno tutti” fu la replica tra le risate. La demolizione continuò con metodo, alla presenza dei militi, ormai assuefatti nell’assistere a quelle docili picconate, inferte da una coesa, pacifica comunità.

Osservata la cosa da parte delle istituzioni, la protesta appariva tuttavia per quello che era, una palese violazione della legge. Arrivarono dunque rinforzi da Perugia per arrestare qualcuno a caso, dunque subito rilasciato. Del resto le indagini rivelarono l’impossibilità nell’individuare specifiche responsabilità, essendosi trattato di una corale ma pacifica sollevazione popolare. Qualche mese dopo si celebrò il processo. Una quarantina d’imputati alla sbarra, per i quali l’accusa chiese la condanna, stabilita tra due e quattro mesi di reclusione. Il tribunale assolse tutti “per non provata reità” con ampio consenso degli astanti. Dopo la sentenza, un fitto corteo di ponteggiani brindò al trionfo della giustizia proletaria. Fu baldoria raggiante lungo il cammino di ritorno. Li fermarono al Bulagaio accollando loro una multa per disturbo della quiete pubblica. Ci si poteva ridere, ora avevano la loro stazione.
 

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