rotate-mobile
Lunedì, 29 Aprile 2024
Rubriche

Correva l'anno di Marco Saioni | 1908 – Un parroco ghiotto di pecorino e di mogli altrui..

Come dal barbiere. E sì, in quella parrocchia, appena fuori Porta S. Angelo, il curato chiede ai genitori se intendono avvalersi dell’acqua calda e in caso affermativo pone la tariffa di due soldi per utilizzarla durante il rito del battesimo. Sarà per la mancetta dovuta al ragazzino che quell’acqua avrà scaldato, questa l’interpretazione più benevola. Sembra tuttavia che lo stesso abbia acquisito più vasta popolarità in tutto il borgo per via del pecorino. Il fattarello, di natura casearia, echeggiava infatti in ogni vicolo dopo la rivelazione di un contadino circa il colloquio da lui avuto durante il rito confessionale.

Una decisione tormentata, quella della confessione, ma doveva sgravarsi di un peso, poiché tormentato dal rimorso. Aveva dunque rivelato al ministro di Dio di aver trafugato sette forme di pecorino. Azione gravissima, avrebbe sentenziato il prete, per poi formulare una domanda che pure in una mente alquanto frugale, dovette suonare strana, in ogni caso desueta rispetto ai riti del sacramento. “E questo pecorino com’è”? Solo un attimo di esitazione si frappose alla spontanea risposta: “Eccellente signor curato”.

Il clima più disteso, indotto dall’improvvisa piega bonaria, fu breve. Una pausa di silenzio inquietante e una sentenza che arrivò come una mazzata travolse il penitente. Assoluzione quasi impossibile. Altra pausa, lunga e penosa, poi il baluginare di una luce di speranza. Che portasse tutte le forme rubate poi, se ne riparlerà. Assoluzione dunque sospesa, per riflettere e conseguire un più sincero e meditato pentimento, certo, seppure il nesso con la consegna del corpo del reato dovette convincerlo poco. Sotto il clamore del tramonto il carico arrivò con discrezione. Apparecchiato in parrocchia, fu annunciato da un quieto effluvio, ma tale da ingaggiare baruffa con l’incenso.

La segretezza inviolabile della confessione che vincola i ministri del culto è cosa nota, tuttavia il sigillo sacramentale non impegna il penitente. Tanto più se le caciotte rapite non furono mai restituite al proprietario, come era lecito aspettarsi da quella richiesta di deposito. E’così che la voce si sparse, propagata da radio borgo, guarnita ogni volta di nuovi dettagli, ma da tutti ritenuta attendibile, almeno riguardo all’identità dei protagonisti, di cui erano ormai noti nome, cognome e indirizzo.

Articoli volti a denigrare il clero, ricorrendo a resoconti ben farciti d’ironia, fioriscono perlopiù sulla stampa d’ispirazione repubblicana e socialista, sintomo palese di un anticlericalismo militante, presente, seppure con accenti diversi, anche nel versante liberal conservatore. Secoli di dominazione pontificia, qualche contributo lo avevano pure offerto alla causa. Del resto il terreno era anche particolarmente fertile, a causa di certi comportamenti, ben noti e radicati tra il vissuto popolare, tali da offrire al dileggio ghiotte contingenze, all’origine peraltro di una vasta aneddotica sull’argomento.

Esempio classico, quello del prete indaffarato con le mogli altrui, seppure figliole osservanti dei precetti religiosi e timorate. Per quelle giovani donne la relazione adulterina non era assimilabile a una qualunque tresca con l’uomo sposato, poiché amante e moglie giocavano ad armi pari. Diversamente, la storia con un prete le poneva in conflitto con Dio stesso. E’ il caso dell’avvenente giovane madre, forse troppo assidua nell’accostarsi al sacramento della confessione. Voci di male lingue, leste a riferire di quella volta che si trattenne un’ora inginocchiata al “bugigattolo” non davano requie. Una lista troppo densa di peccati? Forse, ma com’era che ne usciva sempre assolta con un paio di paternoster? Va a sapere. Tutto tornò, però, con l’episodio finito in cronaca. Un giorno, tornata a casa dopo l’ennesima sosta al confessionale, predispose un canestro d’uva, da portare alla zia, disse.

Figli in lacrime per la prolungata assenza della madre accolsero il marito, rincasato a sera dopo il lavoro. La successiva ricognizione presso la zia non ebbe successo, data l’assenza di moglie e cesti d’uva. Furono altri a indirizzare le indagini verso la casa del parroco, dove avevano visto entrare la donna, recante un canestro. Da qui iniziò la trattativa per la restituzione, presto franata nell’invettiva più greve. Nulla da fare, il prelato teneva duro. Un doppio senso? Macché, proprio un senso univoco da parte del cronista, poiché redatto con palese ammicamento, affidato a puntini di sospensione. L’episodio avrebbe tuttavia attratto folla, radunatasi numerosa. Un assedio assordante di fischi, canzonacce da osteria, percussioni varie, una scampanata in piena regola, ma senza esito, per via del citato tener duro, ormai prerogativa del parroco, del resto già presentato come “quarantenne dalle spalle quadrate, dal forte torace”. Solo la mattina successiva, dopo una notte acre, il poveretto riuscì a recuperare la moglie, affranta e forse ravveduta, evitando, si rimarcò, il tragitto ombreggiato da alberi con rami troppo bassi, così il cronista descrisse il mesto ritorno, calcando il foglio con altri galioffi puntini di sospensione.

Si parla di

In Evidenza

Potrebbe interessarti

Correva l'anno di Marco Saioni | 1908 – Un parroco ghiotto di pecorino e di mogli altrui..

PerugiaToday è in caricamento