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Correva l'anno di Marco Saioni | Perugia 1897 – Fiera di Monteluce. Festa di popolo tra bisbocce, chiasso e bevute colossali

Baracche a centinaia, apparecchiate sotto l’ombra degli ulivi. Bottegucce traboccanti giocattoli e vivande, un tripudio di frutta di stagione dove troneggiava il cocomero, quello spaccato irretiva con bagliori scarlatti. Il tassello d’assaggio per quelli interi garantiva l’acquisto. Ogni sorta di veicoli scaricava gente senza sosta. Una calca in movimento da sfondarsi le coste. La fiera di Monteluce era vocio e frastuono acuto di fischietti, un sibilo da stordire anche i sordi. Il concerto annoverava altri musicisti, impegnati in libere partiture per tamburelli, organetti, trombette, campane di terracotta. Le ragazze, cui era principalmente rivolto l’omaggio musicale, scappavano con le dita nelle orecchie. Guai a impermalirsi perché non le lasciavano campare. Un’orgia di chiasso diffuso, dove s’intercalavano le grida dei venditori di bestiame con adeguato controcanto di muggiti, nitriti, belati, schiocchi di frusta.

Fiera di scambi e acquisti per ogni borsa. Una solennità per bambini e fidanzati, gongolanti per il dono offerto o ricevuto, fosse di qualche eleganza come il bicchiere di cristallo inciso con il nome o limitato alla scartocciata di semi salati. Per otto giorni successivi alla festa, Monteluce brulicava di vita fino a notte inoltrata, campi e ulivi abitati da allegri commensali, in compagnia di stelle e lumini a rallegrare cene spostate da casa. Vere ferie collettive per villeggiature fuori porta. Legioni di giovani pollastri, immolati alla voracità del ventre umano, impegnavano i venditori a fare notte, torcendo colli e spennando inermi tra mulinelli di penne.

La ricorrenza era in realtà dedicata alla Madonna, ma la funzione religiosa si arrendeva presto alla baraonda di una variopinta folla, subito dispersa nei campi e acciambellata sull’erba a piluccare polli arrostiti o all’arrabbiata. Deschi improvvisati, a contendersi macchie d’ombra, muniti di tovaglia, piatti e bicchieri. Il vino no, quello si doveva spillare dalle botti del cantinone delle suore. Una cantina immensa dalle volte basse e densa penombra che rendeva ciechi accedendovi dal piazzale avvolto da una nube di polvere, dardeggiato com’era dal solleone. Avvezzati gli occhi, si godeva il fresco e il rito collettivo di una folla paziente, bottiglie in mano, avide di accogliere lo zampillare dello schietto vino, mai forse così cordiale in gola. Tremende e diffuse le colossali sbornie, da lasciare schiantati o inebetiti fidanzati, mariti, parenti di vario grado, trascinati via malfermi dalle proprie donne. 

L’omaggio a Bacco indusse in tentazione alcuni “giovinastri” gli occhi tuffati sulle botteghe tenute da fruttivendole. In quella si fermarono vuotando fiaschi come idrovore. Pagamento regolare ma l’euforia fu responsabile del trafugamento di otto cocomeri. Manovra grottesca, però, che non sfuggì alle due, decise a riprendersi il re della festa. Ormai franati nell’alcool, i giovani circondarono le donne, commettendo “verso di esse vari oltraggi al pudore”. Furono le grida ad attrarre gente, causando fuga sghemba degli alticci avventori, subito identificati e denunciati. Ovunque folate promiscue di odori. Quello penetrante del basilico, offerto in dono alle giovinette quale pegno d’amore, l’altro, meno poetico ma conturbante della porchetta, zaffate di melone, effluvi di foraggi. 

Baracche improvvisate di friggitori, gelatai, norciai, venditori ambulanti. Quell’anno la ricorrenza cadde di venerdì, una iattura per i venditori di porchetta, persuasi del bigottismo diffuso dei perugini che non avrebbero “rotto il magro”. Di necessità fu dunque virtù e con colpo di genio da marketing spudorato, invitarono all’acquisto in virtù di una fantasiosa concessione affidata a un cartello pendente dal muso delle porchette. Si leggeva che “Monsignor Arcivescovo ha concesso di mangiare cibi di grasso da Fontenuovo a Monteluce”. Non è chiaro il motivo della modesta delimitazione territoriale entro la quale era lecita la trasgressione, ma la trovata ebbe indubbia efficacia anche fra i numerosi irregolari, garantendo il tutto esaurito.

Eppure c’era chi intravvedeva il declino inesorabile della festa, ormai consunta baldoria di popolo. Basta guardare le ragazze che ormai preferiscono il Corso per mostrare il vestito nuovo. Meno polvere e più possibilità di cavarne effetti. In breve ci si accorgerà del ferragosto dagli auguri fasulli di
sconosciuti scrocconi e mendicanti che già affollano, sempre più numerosi, gli spazi di Monteluce.

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