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Domenica, 28 Aprile 2024
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Correva l'anno di Marco Saioni | 1840 – Due buoi affondano nel terreno. Una voragine rivela l’Ipogeo dei Volumni

Un inferno quella strada che da Ponte San Giovanni arranca verso Perugia. Un tragitto in linea retta che richiede ai carri, persino se di carico lieve, ausilio di buoi per qualche chilometro. D’inverno poi, con quelle gelate, l’incidente ricorreva con assidua frequenza

Un inferno quella strada che da Ponte San Giovanni arranca verso Perugia. Un tragitto in linea retta che richiede ai carri, persino se di carico lieve, ausilio di buoi per qualche chilometro. D’inverno poi, con quelle gelate, l’incidente ricorreva con assidua frequenza.
Una via importante, tuttavia, battuta da chiunque volesse da Roma raggiungere Perugia o proseguire oltre. Fu tuttavia il volume di scambi commerciali a imporre l’intervento che tramite larghi tornanti avrebbe placato il dislivello. Un percorso certamente più lungo ma anche più veloce e soprattutto non assimilabile, durante la cattiva stagione, a una pista da bob. 

Quel mattino di gennaio del 1840 Il colono Sorbolini Pasquale sgobbava lento sul terreno soprastante il cantiere stradale, consuetudine di stagione, una pioggerella pioveva.

Gran fermento sotto di lui, però, da spronare udito e sguardo verso quel cantiere di fatica. Fu l’imprevisto a distoglierlo. I suoi buoi erano affondati con tutte le zampe nel terreno che stava arando. Occorse ingegno e sudore per liberare gli animali, tra invettive sbuffate con fiato invernale, ma l'umore mutò quando tra le zolle biancheggiarono quattro tavole di travertino. Recavano parole incise, per lui incomprensibili, seppure sospette di valore.

Decise di nasconderle, scesa la sera, nel vicino bosco. Forse non seppe resistere alla lusinga della condivisione, che per quanto avveduta, raggiunse l’orecchio delle monache del monastero di Santa Lucia, proprietario del fondo.  Le religiose furono leste a incaricare il loro uomo di fiducia, Ludovico Lenzi. Che verificasse, dunque, e procedesse al recupero dei rinvenimenti, quali che fossero. Sarà l’inizio di una vicenda che porterà alla scoperta di uno dei più importanti monumenti etruschi, l'Ipogeo dei Volumni.

Ammaliato d'archeologia, il Lazzi bruciò d’eccitazione difronte a quei manufatti, per lui sicuro indizio di ben altre sorprese. Di questo informò suore e il conte Baglioni, rispettivi proprietari dei terreni sui quali intendeva avviare gli scavi. Il suo entusiasmo incontrò tuttavia una certa cautela che riuscì a sciogliere proponendo una sostanziosa partecipazione alle spese. Gli argomenti dovettero essere convincenti poiché ingaggiò subito un gruppo di operai.

L’insolenza di picconi e pale scansò la terra fino a raggiungere la profondità di nove metri. Una voragine, che considerando gli standard di sicurezza di allora, spiega bene l'umore dei lavoranti, piuttosto preoccupati di finire sepolti vivi. E poi per che cosa se non assecondare le fisime di quel vanesio, da calare lui nello sterro e ricoprirlo. Questo il pensiero che trapelava da parole a mezza bocca. Malumori che non scalfirono le salde convinzioni di Lenzi, determinato come Colombo con la ciurma ostile. Certo il dissenso andava governato, così fece luccicare scudi d'argento e scorrere ruscelli di vino, argomenti di qualche consistenza con i quali “rianimò i deboli e sparuti spiriti degli operai”.
 

Era sera quando i picconi si arresero a una lastra di travertino. Si decise di rimuoverlo senza attendere autorizzazioni e subito le torce fecero danzare ombre e sembianze strabilianti. Era stata scoperta una cosa “non più veduta, più di qualunque tesoro”.

A questo punto entrarono in scena il Conte Baglioni e il professor Vermiglioli, Il primo chinato a scrivere su un'urna di marmo, l'altro a dettare descrizioni di materiali, per ore.

Intervenuti altri personaggi, furono aperte le urne e nel più assoluto silenzio videro sollevarsi, sotto il lume di candela, ceneri e minuti frammenti d'ossa.

Fuori, l’inverno gelava la sera ma una luminaria tremolante si avvicinava come un presepe vivente. Erano più di un centinaio i contadini provenienti da campi e colli vicini, le lanterne a illuminare i passi. Non c’era spazio per loro. Rigide disposizioni autorizzavano solo coloro in grado di comprendere, quindi “non rozzi contadini e altri del più ignorante volgo”. Un giudizio presto contraddetto dagli eventi poiché il monumento acquisirà enorme e crescente popolarità. In virtù di tale fama, ci fu anche, in anni recenti, chi ne richiese uso per celebrare nozze. Si rispose in punta d’ironia, evocando la vulgata sul matrimonio tomba dell’amore. Insomma, iniziare da lì non sarebbe stato un buon viatico.  

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