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Cronaca

Se n’è andato Peppino Gatti, storico proiezionista del Pavone. Ci ha fatto amare il cinema e la città

Il Funerale alla chiesa di Case Bruciate domani 13 luglio alle 10.30

Se n’è andato Peppino Gatti, storico proiezionista del Pavone. Ci ha fatto amare il cinema e la città. È uscito da questo mondo in punta di piedi, con la discrezione e l’educazione che ne hanno sempre connotato lo stile. Una vita al servizio dell’arte cinematografica che promosse instancabilmente. Passione ereditata dai figli Mirco e Mauro, titolari di due piccoli cinema di rioni storici come la Pesa e il Borgo d’Oro. Peppino ha formato generazioni di apprendisti, ai quali ha insegnato la ‘religione’ della pellicola. Nei tempi epici in cui bisognava riavvolgere e aggiuntare. Peppino amava la vita e l’amicizia. Lo ricordo quando, davanti al Pavone, mi strizzava l’occhio e m’invitava a salire “per aiutarlo”. Sapeva che non avevo i soldi per il biglietto e cercava una scusa per farmi vedere il film.

Peppino amava la musica, schitarrava alla buona, come me, canticchiava. Coltivava una dimensione giocosa della vita. Era ottimista e adorava la famiglia, impreziosita da una prole numerosa e affettuosa. Abitava in via della Torricella, dove sono stato da lui invitato a salire più d’una volta. Mi mostrava orgoglioso il terrazzo da cui si scopre un bel panorama. Mi presentava le sue collezioni, mantenute con cura. Mi faceva vedere qualche opera degli Orfei (Bruno e Ruggero) coi quali era legato da parentela per parte della moglie. Parlavamo dei tempi epici della proiezione, quando toccava tenere tutto sotto controllo: avvicinare i carboncini, stare attenti agli incendi, con la pellicola infiammabile.

A proposito di incendi, quanto amore per il Pavone! Mi ricordo che, alla fine delle proiezioni, a ora tarda, Peppino faceva l’ispezione generale alle gallerie. A quei tempi al cinema si poteva fumare e non era raro il caso che qualcuno gettasse a terra dei mozziconi accesi. Da qui, il pericolo di incendi con tutte quelle parti in legno del teatro. Peppino, dunque, controllava e rimuoveva i pericoli. Lo incontravo quasi tutti i giorni, quanto abitavo in via della Viola e in corso Bersaglieri. Passavo    spesso davanti al negozietto di mercerie di sua moglie Rita e mi capitava di trovarcelo.

Qualche anno fa, Peppino mi ha invitato a salire in casa. M’ha detto: “Vieni su che ti voglio fare un regalo”. Sapendo che porto la cravatta anche col solleone, me ne ha donata una newiorchese. Si vedono grattacieli e una mela. È blu, in seta, molto pop. M’ha detto: “Me l’ha mandata mio figlio dall’America, ma io non l’ho mai messa. Tiella tu. La porterai come ricordo di amicizia”. Caro Peppino, impossibile dimenticare il tuo sguardo ironico e intelligente. Proprio quello che hai in questa foto che ti ho scattato davanti al negozio di Marisa Rosi. Stavi già male, ma di una cosa posso vantarmi. Anche quando stentavi a riconoscere i tuoi familiari, ti chiedevo “Chi so?”. Rispondevi tranquillo il mio nome. Grazie, Peppino. Quella cravatta con la mela mi sarà sempre più cara.

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