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Cronaca

Lite tra chef dopo il rinnovo delle cariche dell'associazione: una condanna dopo 7 anni di processo

Uno degli imputati, accusato di diffamazione e calunnia, è deceduto, condannato un collega per favoreggiamento: denunciato con false accuse un altro ristoratore

Lite tra ristoratori per il voto nel rinnovo delle cariche dell’associazione di categoria. Dopo sette anni si conclude il processo (uno di quelli nata dalla vicenda narrata dalle carte processuali) con la condanna per favoreggiamento di uno degli imputati (quello principale è deceduto nel corso del procedimento).

Nel 2015 si va al voto per il rinnovo delle cariche della più importante associazione di categoria di chef e ristoratori. La posizione del presidente storico è messa in discussione da un giovane cuoco calabrese che si mette a fare le pulci al bilancio dell’associazione e tenta, in assemblea, di verificare voce per voce il documento contabile e contestando le deleghe per votare in mano agli avversari.

Nulla da fare, il presidente vince e gli sconfitti si ritirano sull’Aventino. Tranne uno che viene nominato revisore dei conti. Si tratterebbe di una sorta di pacificazione degli animi.

Il nuovo revisore dei conti è uno dei ristoratori appartenente alla cordata degli sconfitti, un siciliano, che giorni dopo, ottiene un appuntamento con il presidente, nel suo locale che funge anche da sede dell’associazione. Da questo incontro nasceranno querele e denunce, un processo davanti al giudice di pace e uno davanti al giudice del Tribunale penale, con tre cambi di magistrato giudicante e prima due richieste di archiviazione.

A questo appuntamento il presidente si chiude in una stanza con il revisore dei conti, chiedendo all’altro ristoratore di aspettare.

Dopo 40 minuti, però, il ristoratore, stanco di attendere, bussa, apre la porta e saluta. Secondo il suo racconto, il presidente lo aggredisce e colpisce con due pugni. Lui non reagisce e se ne va. Poco dopo, però, si reca al Pronto soccorso perché non vede bene.

Dagli accertamenti in ospedale e poi da uno specialista riporta una perdita della vista di 3/10 dall’occhio sinistro. Scatta la denuncia al Posto fisso di Polizia del Santa Maria della Misericordia e parte l’indagine.

Il presidente dell’associazione, venuto a conoscenza della denuncia, propone subito la radiazione del ristoratore dall’associazione e poi fa una contro querela, affermando di essere stato aggredito, indicando come testimone una persona che non era presente all’appuntamento. La querela è per percosse, ingiurie, minacce ed estorsione, perché il ristoratore aggredito avrebbe messo delle condizioni per ritirare la querela.

avvocato arturo bonsignore-2Cosa accade a questo punto? Che il ristoratore aggredito, difeso dall’avvocato Arturo Bonsignore, finisce davanti al giudice di pace sulla base della denuncia del presidente dell’associazione, mentre la sua querela tarda a produrre frutti. Anche se dal fascicolo processuale davanti al giudice di pace emergono accusa di competenza del gip a carico del presidente, come calunnia e diffamazione.

Nel 2019 il presidente dell’associazione muore e i parenti rimettono la querela, così il ristoratore aggredito chiude la sua posizione con la giustizia in qualità di imputato.

Il fascicolo nato dalla sua querela, dopo due richieste di archiviazione e tre magistrati, finisce sul tavolo del giudice Giangamboni, anche se dimezzato in quanto il principale imputato è deceduto. Resta sotto processo il testimone indicato. Per lui l’accusa è di calunnia e favoreggiamento per le dichiarazioni sull’aggressione nell’ufficio del presidente dell’associazione (alla quale non era presente).

Dopo sette anni il processo si è chiuso con la condanna dell’imputato a 2 mesi più il pagamento di spese legali e processuali. Sette anni che il ristoratore ha passato credendo nella giustizia, con la quale ha avuto a che fare prima come imputato (con false accuse) e poi come vittima.

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