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VISTI PER VOI Al Morlacchi "The city". Quando la coppia scoppia… e il mondo non ride

Gridato apologo dei malintesi familiari che diventano tragedia collettiva

Il primo allestimento in lingua italiana di una nuova forma di teatro, quella di Martin Crimp, che solleva riserve sulla nostra colpevole indifferenza  davanti alle tragedie del mondo. Manifestando una decisa carica politica a valenza pacifista.

Dramma di coppia in un interno. Sapientemente costruito dallo scenografo Gregorio Zurla che, in maniera minimalista, scandisce tre ambienti, un parallelepipedo dentro l’altro, in profondità. Spazi bianchi nettamente divisi  da una striscia nera. Con telini che il regista Jacopo Gassman utilizza alla maniera del fratello Alessandro. Ma senza abusare delle classiche proiezioni. E dunque generando un ambiente e una narrazione più freddi e inquietanti.

Chris, il marito (Christian La Rosa) opera in una società informatica ed è ossessionato dal rischio del licenziamento. Circostanza che poi si verifica. Facendo di lui un addetto del supermercato. Con apparente gioiosità e sostanziale depressione.

Clair, la moglie (Lucrezia Guidone), fa la traduttrice e incontra uno scrittore che le consegna un diario destinato alla figlia.

Entra nel gioco familiare una vicina, Jenny (Olga Rossi) che si lamenta del rumore prodotto dai bambini di Chris e Clair.

Si parlano senza comunicare e in assenza di amore. Ciascuno preso dai propri timori. Angustiato dai propri fantasmi.

Un teatro-non teatro, in cui la parola sembra da un lato perdere funzione comunicativa, dall’altro caricarsi di problematicità, ponendo domande irrisolte in maniera angosciosa e senza mai fornire risposte. Stimolando, caso mai, l’attenzione sui problemi di carattere personale e sociale.

Un teatro di narrazione, perché in quella scena spoglia nulla accade e tutto viene riferito.

Un dialogo anaffettivo e spesso feroce, di rimbrotti e recriminazioni.

Quasi un colpevole distacco dal mondo in cui accadono guerre e minacce che si insinuano nel privato. Non senza ricadute frustranti.

Lo spettacolo fa discutere e lascia spazio all’interpretazione personale. Si formulano ipotesi su particolari come quello della mano nella tasca dell’impermeabile (che il personaggio si ostina – non si capisce perché – a chiamare “cappotto”) e che viene ritratta sporca di sangue. Il riferimento è alle guerre in atto e al lavoro del marito dell’infermiera, impegnato a curare feriti di guerra. Non si sa dove, né come, né perché.

Complimenti alla giovane Lea Lucioli, per la prima volta in scena. Una particina non insignificante. E l'insieme attoriale, dopo l'esitazione iniziale, prende a girare.

Il messaggio antimilitarista e nonviolento, il disprezzo per quel coltello, portato in regalo, alla protagonista, la cui lama brilla e capta attenzione, con riflesso ferrigno minaccioso.

Certo è il messaggio (come si diceva nei meravigliosi anni Settanta): dall’incomprensione e dalla mancanza di confronto derivano sangue e sofferenze. Inutile dire come e quanto l’appunto sia attuale. Oggi più di ieri.

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