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L'INDISCRETO di Maurizio Ronconi | Riflessione sulla scuola chiusa per Ramadan: questa è integrazione?

Ha suscitato un gran dibattito, polemiche a non finire, la scelta della Direzione della scuola di Pioltello di disporre la chiusura della struttura nei quattro giorni finali del Ramadan. La decisione, con la contrarietà del ministro dell’Istruzione, è poi stata riformulata in due giorni di chiusura per “esigenze didattiche”. Perfino il Presidente della Repubblica ha ritenuto, pur non facendo direttamente riferimento alla particolare decisione, riconoscere la qualità dell’insegnamento proposto da quell’istituto scolastico.

Il punto però non è questo ma semmai chiedersi se una scuola italiana, soggetta a regole e disposizioni nazionali e regionali, possa autonomamente sospendere le lezioni per la festività di una religione che non è quella nazionale, che non fa riferimento assolutamente alla nostra cultura, alle nostre tradizioni, ai nostri costumi. Al di là dello specifico caso della scuola di Pioltello, frequentata per il 43% da studenti di religione mussulmana, qualche perplessità, qualche domanda inevitabilmente sorge. Si parla, forse un po'a vanvera, della necessità di integrazione con l’irrisolto dilemma se ad integrarsi debbano essere gli immigrati o addirittura gli italiani.

Qui non si tratta di razzismo, ci mancherebbe, o della volontà di isolare immigrati di fede mussulmana o di altro credo, ma davvero se si volesse inseguire in questo modo questa male intesa integrazione perché allora non sospendere le lezioni anche in concomitanza delle feste ebraiche oppure di quello ortodosse o di qualsiasi altra confessione religiosa. Una volta per tutte sarà necessario declinare il significato della auspicata integrazione degli ormai tanti immigrati in Italia. Integrazione significa accoglienza, disponibilità, impieghi lavorativi e salari giusti, scuole materne, che spesso non ci sono neppure per gli italiani, assistenza sanitaria, spesso insufficiente anche per i residenti italiani, apertura di luoghi di culto. Dall’altra parte però, da quella degli immigrati, altrettanta
disponibilità e rispetto per l’ordine, la cultura, le tradizioni, la religione di coloro che li ospitano.
In questo quadro le esigenze didattiche non sono quelle della chiusura della scuola per il Ramadan ma
semmai spiegare la disponibilità alla accoglienza della gran parte degli italiani, che significa anche
riconoscimento per le rispettive religioni, una vera reciprocità. Ovvero quella reciprocità che nei Paesi arabi
è ben lungi dall’essere attuata. Chi oggi è in Italia da immigrato ha il dovere di rispettare le nostre regole e
la nostra religione e non imporre quelle loro perché questo è il solo atteggiamento che potrà fecondamente
garantire una compiuta integrazione.

Per altro c’è anche da dire che coloro, che più di altri, hanno criticato la decisione dell’Istituto scolastico sono proprio i sostenitori di una ancora molto nebulosa autonomia scolastica. Questo è il primo frutto marcio di una autonomia che rischia di trasformarsi in anarchia scolastica e dunque formativa, che vorrebbe assegnare alle regioni poteri esclusivi in materia che rischiano di produrre venti, una per regione, repubbliche scolastiche e dunque una molteplicità di metodi formativi che invece di integrare, unire, produrrebbero un caos formativo assai preoccupante. Allora questa decisone autonoma di chiudere i battenti della scuola per il Ramadan almeno serva per un ripensamento di questa autonomia scolastica che pare ammantata da interessi elettorali ed ideologici e
non certo dettata da esigenze educative.
 

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