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GRIFONERIE Centrocampo “malato” di turn-over e il Curi diventa sempre più un tabù

Troppi cambi nel reparto nevralgico della squadra e la perfetta lettura tattica di Longo hanno costretto il Perugia all’ennesimo stop interno

Sull’ennesimo stop interno del Perugia si possono fare due tipi di riflessione. Una al limite del paradosso, una più tecnica, ancorché quando si parla di questo tema specifico Alvini preferisce sviare ogni domanda infilandosi in iperboli ben architettate. Tipo, per fare un accenno, al fatto che col Cosenza (e anche con l’Alessandria…) la palla non girava piano consentendo agli avversari di piazzarsi come soldatini nelle loro posizioni. No, era una illusione ottica, una impressione. Ci torneremo.

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Dicevano del paradosso, che è il seguente: lo scorso anno il Perugia ha vinto un difficile campionato come quello di Lega Pro giocando sempre a porte chiuse, mentre quest’anno ha fatto 7 punti su nove in trasferta senza mai subire un gol e due su 9 in casa beccando 5 reti.

Un caso? Può darsi, anzi sicuramente, ma a lungo andare questo impatto negativo al Curi potrebbe trasformarsi in un macigno duro da portare appresso, visto che, tra l’altro, la prossima in casa sarà col Brescia.

Passiamo al calcio. Quello che pensiamo noi, fin dall’inizio della stagione, è che 9 giocatori per tre maglie siano davvero troppi, quasi un cazzotto nello stomaco a tutti coloro (parliamo di allenatori) che considerano il centrocampo il reparto più importante della squadra, quello dove bisogna cambiare il meno possibile. Esempi? Salvo infortuni o squalifiche nell’Atalanta giocano sempre De Roon-Freuler e Pessina, nell’Inter Brozovic-Barella-Chalanoglu, nella Lazio Leiva-Luis Alberto-Milinkovic, nel Milan Tonali-Kessie-Diaz. Al massimo un cambio dei tre, ma con un “quarto” che è sempre quello (Vecino, Bennacer, Pasalic, Cataldi...). I cambi, semmai, si fanno sugli esterni dove col calcio attuale si lavora molto di più, oppure qualche rotazione in attacco o in difesa per cambiare modulo in corso d’opera.

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Chi deve dettare il passaggio, cioè gli attaccanti, Lisi, Falzerano e, possibilmente anche un centrocampista, deve abituarsi alle giocate di chi deve servirlo.

Invece, cosa è successo? Che 7 giocatori nuovi su 11 (6 all’inizio più Gyabuaa) hanno un po’ complicato le cosiddette linee di passaggio. E attenzione, non è che l’Alessandria abbia giocato 90’ in area. Lo ha fatto solo nei primi 45’, quando Longo ha marcato uomo su uomo, addirittura spostando il 19enne Milanese, ala destra di ruolo, in mezzo addosso a Ghion. Così il giovane regista del Sassuolo non ha avuto mai spazi per giocare il pallone. Ancor meno Vanbaleghem, che è essenzialmente un difensore dai piedi un po’ ruvidi e tantomeno Kouan, che quando si trova le difese schierate gira a vuoto. Restavano le fasce laterali dove Lisi era atteso da Mustacchio e Falzerano da Lunetta, ma né l’uno né l’altro hanno mai trovato lo spunto per andarsene da soli o qualche supporto in sovrapposizione di Rosi e Curado. Morale della favola? I lanci li ha fatti Sgarbi, con una squadra nettamente spaccata in due.

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Nel secondo tempo Longo ha provato a vincere, ha alzato il baricentro e molto spazio dietro i difensori, lasciando libero Ghion (e poi Burrai) e la partita si è aperta, Alvini ha cambiato tutti i tre centrocampisti ma l’unico tiro in porta l’ha scagliato Rosi al 93’. E non è stata un’illusione ottica.

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