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“Il Re degli Ultimi”, il romanzo su Maradona che sembra un film

È uscito il libro di Enzo Beretta ad un anno dalla scomparsa del campione argentino. Un racconto intenso, emozionante e coinvolgente dei 7 anni vissuti dal 'Pibe de Oro' a Napoli

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Trecentotrentanove pagine su Maradona. Ancora? Ancora. L’anima da nativo milanista (anzi, “riveriano”) sconsiglierebbe di addentrarsi dentro l’ennesima esegesi del Genio del Calcio, ma un po’ gli influssi di una suocera che era nata a Napoli, un po’ quelli di un nipote di Secondigliano che vive a Perugia (guai a telefonare mentre c’è la partita, a meno che in quel momento non segni Ciro Mertens. Nel caso richiamare sempre allo stesso minuto, ogni volta…), ma soprattutto perché le suddette pagine le ha scritte Enzo Beretta, non un napoletano “devoto” al santino del Pibe, ma un giornalista che ci sa fare, che fa viaggiare i periodi come si deve, li fa cantare, conviene tentare.

A dispetto delle pagine il libro si legge in due giorni. Fila via come la sceneggiatura di un film. Anzi è un film già bello e pronto, tanto che, se posso, consiglierei a Enzo di passarlo direttamente a Paolo Sorrentino, l’unico al Mondo che avrebbe la forza e il carisma per cimentarsi in una impresa del genere.

Su Maradona sono stati scritti libri, prodotti documentari, storie affascinanti, romanzate, di quelle che vanno molto di moda ora nelle pay-tv, dal capostipite Federico Buffa a scendere.

Dunque che cosa ha fatto Beretta? Un lavoro mostruoso di documentazione, di ricerca, di chiacchierate amichevoli per carpire piccoli segreti, di visione e ascolto. Poi ha mixato tutto e, fregandosene dell’ordine cronologico ha raccontato la vita napoletana del “Re degli Ultimi”, sette anni tondi in cui è successo di tutto.

Sapevamo, certo, che Maradona faceva molta beneficienza, che si dedicava ai poveri, ma soprattutto ai bambini. Specialmente quelli malati dei reparti di oncologia pediatrica. Sapevamo del suo rapporto speciale con Fidel Castro, della visita poco “ortodossa” a Papa Woytila, dell’attrazione incontrollata e incontrollabile per le donne, degli intrecci con la camorra, della sua dipendenza con la droga. Lo sapevamo, ma Beretta l’ha sceneggiato. Ce l’ha fatto vedere. Bastava leggere e immaginare le scene. Dettagli su dettagli, manco fosse stato lì, dentro un furgone nero come quello delle spy story, ad osservare le immagini di una telecamera nascosta in mezzo ai riccioli di Diego.

Così è venuto fuori che Maradona andava anche di notte dai bambini malati, a qualsiasi ora.

Che a Giovanni Paolo II (mai amato al contrario del suo conterraneo Francesco), che pose l’accento sulla necessità di fare qualcosa per i bambini poveri, avrebbe detto, guardando i lussi della Città del Vaticano, i suoi tetti dorati: “ allora venditi un tetto, amigo, fai qualcosa”. Come si dice in questi casi? Notizia non confermata, ma credibile. Credibilissima.

E restando nella metafora della “sceneggiatura” ecco i “piani sequenza”. Tanti e tutti precisi, ad hoc. La telecamera gira, inquadra stanze, uomini e cose, mostra i particolari, e tutto ha l’aria di essere vero, non frutto della fantasia dell’autore. La scrittura di Beretta entra a casa Berlusconi, dove il manager di Diego, Guillermo Coppola, va a sentire l’offerta spropositata del Cav per portarlo al Milan, ed ecco… “il pavimento a mosaico di produzione artigianale, le collezioni pregiate di quadri, un pianoforte a coda Steinway & Sons, la carta da parati esclusiva Malwin grigio antracite, le colonne di granito”.

Non si percepiscono sapori, ma gli umori sì. Ed a proposito di Guillermo Esteban Coppola, il manager che ha fatto grande Maradona ed il suo portafogli, il libro descrive il primo incontro tra i due, al ristorante, in quattro pagine fitte di dialoghi mozzati e lunghi silenzi, intramezzati da carrelli con casse di ostriche, piatti di cernie, polpi, ricci e, naturalmente, champagne Krug senza limite. Beretta forse era lì, ben nascosto da qualche parte, magari vestito da cameriere, perché il racconto è impressionante per i frammenti, le minuzie, i particolari anche insignificanti (tovaglioli di seta, Fernet prima del conto) che però faranno molto comodo all’ipotetico regista dell’immaginario film.

Ad un certo punto, a metà del libro, si racconta di come tanti neonati napoletani si chiamino Diego Armando Maradona di nome. Un nome più importante del cognome, come accade raramente nella vita. E non pensiate si tratti di una esagerazione, di casi sporadici diventati leggenda, perché quando nacque la mia prima figlia, settembre 1984, Policlinico di Monteluce, il figlio di una coppia di napoletani fu proprio battezzato in quel modo, con profonda sorpresa di noi tutti. Genitori, infermieri, ostetriche, medici.

Per finire? Chi era Maradona? Un santo laico e il recordman dei peccatori (“chi sono io per giudicare?”, cfr Papa Francesco), certo, ma anche il calciatore più bravo che sia mai sceso in terra. Un uomo semplice, come nella frase che riporta Beretta nell’epigrafe iniziale:” “Una volta alla settimana, la domenica rendevo felici tutti quanti”. Probabilmente anche i milanisti…

IL RE DEGLI ULTIMI-3

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