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I dati diffusi sul Covid sono attendibili? E come leggerli? Lo statistico Falocci: "Sottovalutata l'App Immuni"

Nicola Falocci, in servizio presso l’Assemblea legislativa della Regione Umbria e docente universitario di statistica, ci propone un'analisi sulla raccolta e l'utilizzo dei dati nel momento difficile che stiamo vivendo

In un momento in cui il nostro quotidiano è scandito a colpi di Dpcm e ordinanze, a giocare un ruolo fondamentale sono i dati. Numeri di ricoverati, positivi, asintomatici, posti letto.

Abbiamo chiesto a Nicola Falocci, esperto di statistica e di analisi delle politiche pubbliche presso l’Assemblea legislativa della Regione Umbria e docente di statistica all’Università degli studi di Perugia e all’Università per Stranieri), un’analisi sull’importanza dei dati in questa particolare situazione di emergenza.

D. Le domande che circolano sono tante: i contagi sono maggiori nelle scuole superiori o in quelle primarie? Qual è il rischio di contagio sui mezzi pubblici? I teatri e i cinema sono davvero dei luoghi sicuri? Ci si può contagiare durante una cena al ristorante?

R. Purtroppo a queste domande, seppure molto rilevanti, non è possibile al momento dare una risposta oggettiva, nel senso che non è possibile fornire delle risposte suffragate da dati statistici. Perché al momento questo tipo di dati non esiste. Quando dico questo, faccio riferimento ovviamente a dati ufficiali. Di dati ne circolano, sui social media o anche a mezzo stampa, come ad esempio quelli relativi alla totale assenza di contagi nei cinema o nei teatri. Tuttavia, l’attendibilità di questi dati è molto dubbia, perché non derivano da fonti ufficiali.

D. Che si intende per fonti ufficiali?

Sono ufficiali i dati che vengono prodotti e diffusi da enti e istituzioni che fanno parte del sistema statistico nazionale. Il nostro sistema statistico è molto ben articolato: ricomprende l’ISTAT, ma anche i Ministeri, come il Ministero della Salute, e pure enti pubblici come l’INPS o lo stesso Istituto Superiore di Sanità. Ed ovviamente anche le regioni. Sono questi enti che devono diffondere i dati in maneera precisa e leggibile.

Il problema però, è che i dati devono essere prodotti. Mi riferisco ad un processo di produzione vero e proprio. Dietro a qualunque dato statistico c’è una rilevazione statistica, ovvero un processo produttivo che ha come risultato finale un insieme di dati.

Affinché produca un buon risultato, il processo va progettato accuratamente in ogni sua fase, partendo dalle domande a cui i dati devono dare delle risposte. Inoltre, va definito il modo in cui le informazioni devono essere raccolte ed eventuali informazioni al contorno.

Progettare accuratamente questi passaggi permette che i dati scaturiti dall’indagine abbiano una valenza scientifica e che quindi possano essere utilizzati per rispondere alle domande iniziali. In questo modo si potranno prendere decisioni basate su un’evidenza empirica chiara.

Nel caso dell'epidemia Covid ci sono due questioni di considerare. La prima è che le Regioni raccolgono i dati che vengono giornalmente trasmessi al Ministero con le regole proprie e non sempre omogenee. La seconda è che al momento sta passando in secondo piano la raccolta di informazioni a livello individuale, cioè delle singole persone, sia che si tratti di una persona positiva, sia che si tratti di una persona che è entrata in contatto con una persona affetta da Covid. Sono le singole persone che detengono le informazioni rilevanti,che dovrebbero essere raccolte in forma strutturata e poi elaborate. Questo tema si intreccia fortemente con quello del “contact tracing”.

D. Che importanza ha la tracciabiiltà dei contagiati in questa situazione?

R. La somministrazione di tamponi in teoria rappresenta una grande occasione per raccogliere informazioni, come pure le interviste per il tracciamento dei positivi. Ma affinché producano dati utili devono essere progettate in anticipo. Inoltre, la condivisione di queste informazioni con la comunità scientifica (che non sempre avviene) consentirebbe di elaborare strategie per contrastare la diffusione del virus ed anche per fornire una solida evidenza empirica all’azione di governo. Si tratta di interventi che se ben progettati, sono anche relativamente poco costosi, perché la diffusione delle tecnologie abbatte in parte anche i costi di produzione dei dati. Operazioni del genere porterebbero benefici enormi per conoscere, e contrastare la pandemia. Ma devono essere messi in atto nei momenti giusti. In uno stato di emergenza le priorità diventano certamente altre.

Lo scorso giugno il Ministero della Salute ha adottato le linee guida per il tracciamento, che sono molto precise e dettagliate dal punto di vista sanitario, ovvero del protocollo da adottare ai fini della salute pubblica. Al contrario, il documento è estremamente generico, per quanto riguarda gli aspetti della raccolta dei dati e prevede soltanto una serie di raccomandazioni, che sono state recepite in maniera piuttosto difforme dalle regioni.

D’altro canto, l’uso della app “Immuni”, che potenzialmente avrebbe permesso una raccolta più rapida e sistematica di dati legati ai contagi, come è avvenuto in altri paesi europei, è stata ampiamente sottovalutata dalla popolazione, rendendola di fatto poco utile. Questo tipo di strumenti possono dare un contributo rilevante al problema del tracciamento, ma richiedono una partecipazione attiva da parte dei cittadini. Se non c’è partecipazione, questi sistemi falliscono in partenza.

D. Nonostante queste premesse, i dati che vengono diffusi giornalmente hanno comunque una loro utilità?

Certamente. I dati che vengono diffusi giornalmente dal Dipartimento della protezione civile sono ovviamente utili, perché consentono a medici e amministratori di avere una costante consapevolezza sulla rapidità di diffusione del virus, che si ripercuote poi sulla saturazione dei reparti di terapia intensiva e sulla tenuta dei sistemi sanitari regionali e quindi sulla necessità di intraprendere azioni supplementari.

Resta il fatto che devono essere utilizzati e interpretati in una maniera corretta. Ad esempio, se pensiamo al tasso dei positivi sul numero dei tamponi fatti, questo dato va utilizzato con molta cautela. Sarebbe indicativo della diffusione del virus soltanto se si somministrasse il tampone a tappeto nella popolazione. Ma questo non avviene, per cui è normale che si trovi un'elevata percentuale di positivi, occorre tenere conto del contesto di riferimento. In modo simile, i dati comunicati giornalmente dal Ministero sono piuttosto grezzi, proprio perché consentono di dire pochissimo rispetto alle caratteristiche delle persone che sono venute a contatto con il virus. Nella maggioranza dei casi viene registrato il genere, se si tratta di maschi o femmine, e la loro età, ma niente altro. In altri termini, non consentono di ricostruire “la storia” della singola persona.

Una volta che le persone vengono ricoverate negli ospedali, vengono raccolti i dati relativi agli eventi che si verificano durante il ricovero, ma non si ad indagare ciò che era avvenuto prima del ricovero, comprese le interazioni avvenute prima.

Il problema sostanziale quindi è che magari dati ce ne sono, ma non sono strutturati e pertanto potrebbero essere non omogenei. E anche se ci sono, non vengono condivisi né a livello istituzionale, né alla comunità scientifica.

D. Da cosa dipende tutta questa situazione?

R. Le motivazioni sono molteplici. Alla base di tutto c’è un gap di tipo culturale. Mi riferisco alla scarsa cultura scientifica che presente nel nostro Paese. E’ un problema annoso, che si riscontra già nei risultati scolastici degli studenti delle scuole superiori, ma che poi si ritrova nell’organizzazione delle amministrazioni pubbliche, e nella loro scarsa propensione all’innovazione.

La rapida diffusione delle tecnologie informatiche apre delle strade, delle opportunità alla diffusione di dati e allo scambio di informazioni. Ma queste opportunità non sempre vengono colte.

Tanto per fare un esempio molto concreto, sono molto pochi gli statistici presenti nelle amministrazioni centrali e locali. E quei pochi che ci sono sono spesso male utilizzati. 

C’è poi da considerare un fatto importante. Un’indagine statistica con basi scientifiche richiede tempi e risorse finanziarie da investire. Una scarsa cultura quantitativa si riflette inevitabilmente sulla scarsa propensione ad investire risorse nella produzione di dati, che potrebbero essere utili non soltanto alle singole istituzioni, ma a tutta la comunità.

D. In sostanza, cosa possono fare i singoli cittadini per contribuire alla corretta raccolta di dati?

R. Il contributo che ognuno di noi può dare alla conoscenza del virus è fondamentale. Ci può sembrare molto banale, ma anche rispondere in modo collaborativo alle domande di un questionario è un’arma efficace per contribuire a combattere questa epidemia.

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