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Correva l'anno... di Marco Saioni | Quella merenda avariata che fece gridare al colera i Frati

Due d’ore di cammino per raggiungere il secolare bosco di lecci per andar a trovare i confratelli di Montemalbe

Giornata radiosa, quella, benedetta da un cielo serafico che istigava il verde diffuso della vallata. Dal colle di Monteripido, il tenue respiro del vento persuadeva al viaggio. Assolti dunque i consueti riti, il gruppo di francescani fu pronto per far visita ai confratelli cappuccini di Montemalbe. Due d’ore di cammino per raggiungere il secolare bosco di lecci, innervato da intrighi di sentieri. La natura incontaminata del luogo li avrebbe ricompensati della fatica. Un posto ideale, insomma, per meditazioni e lodi alla “sora nostra matre terra”.

Fu subito precipizio allegro di sandali verso la scoscesa valle, apparecchiata di querce e ulivi. Il chiacchiericcio dei merli e l’aria del mattino rendevano cordiale il tragitto. Ma il passo spedito dei più giovani dovette presto adeguarsi a quello placato degli altri. Non privi d’ironia, però, specie il più anziano, quando qualcuno, scherzando, ipotizzò il ricorso a più confortevoli mezzi di trasporto per le prossime uscite. La replica di Fra Giovanni, una cascata di barba e rughe e gran bagaglio di sapienza, attinse dunque a un episodio, quello occorso a un Vescovo che attraversava la campagna in carrozza. 

L’alto prelato, scorgendo un francescano a cavallo, aprì la portiera, e in tono beffardo fece: “Ohé fraticello, Sanctus Franciscus non equitabat” ma quello, di rimando, lo fulminò con l’efficace replica: “Nec Sanctus Petrus scarrozzabat”. La preziosa e meravigliosa biblioteca del convento doveva possedere il dizionario di Piero Fanfani, da cui l’episodio è probabilmente tratto. Tra risate e canti proseguì il cammino, a volte punteggiato da commenti sull’attualità. Come quegli attacchi dei giornali anticlericali contro i pellegrini in arrivo ad Assisi, in massima parte dalla Ciociaria. Ogni pretesto è buono per attaccare la Chiesa, mormorò qualcuno. Ma anche stavolta Fra Giovanni indusse alla riflessione poiché, dati i casi di colera accertati in quella zona, sarebbe stato meglio usare qualche precauzione, al netto delle critiche dei mangiapreti.

Frattanto, superato Ponte d’Oddi, il colto fratello invitò tutti a scorgere in lontananza i resti delle arcate che raccontavano ancora la sapienza dell’acquedotto, non per niente opera del fratello benedettino, Bevignate. Prima di affrontare la ripida ascesa che li avrebbe condotti al convento, decisero di procurarsi una modesta refezione, da consumare sotto quell’ombra, talmente densa da bersi tutta la luce del sole. Quell’osteria, (non era Apparo), pur rivelando uno stato miserrimo, non fu d’ostacolo all’acquisto di alimenti poiché perfettamente in linea con il dettato di povertà.

Qualcuno, in realtà, forse meno ortodosso rispetto alla Regola, volle segnalare perplessità. Non era del resto emergenza colera in gran parte del meridione e non solo? Insomma, la nefanda situazione igienica del locale imponeva qualche cautela. E poi quell’oste irsuto era sempre lì a grattarsi la testa cosparsa di rado e untuoso pelo, mentre affettava pani e salumi. Ma la tesi, ancorché ben strutturata, non assurse a dignità di “disputatio”. Fu dunque pane e salame per tutti. Sommerso dalle chiome degli alberi, s’intuiva ormai il convento. 

L’arrivo fu accolto dalla gioia radiosa dei fratelli cappuccini con i quali s’intrattennero in preghiera fino all’ora della refezione. Il frugale cibo fu consumato dopo il dovuto ringraziamento all’Altissimo. Non trascorse molto tempo, tuttavia, quando i primi flebili lamenti si convertirono in ritirate impetuose e svolazzanti alla ricerca di cespugli, travolgendo ogni refolo di spiritualità. Stormi di fraticelli, tonaca issata a mezz’asta, s’imboscarono con traiettorie a raggiera sotto lo sguardo attonito dei cappuccini. E fu proprio all’ombra densa di quei lecci agognati che si prodigarono in un’intensiva concimazione dell’area. La cosa assunse
ulteriore criticità quando un dubbio cominciò a serpeggiare. Colera? Era possibile che il vibrione avesse attecchito in quel posto recondito? Il terrore crescente non contribuì ad alleviare quella dolente condizione.

Qualcuno si precipitò a chiamare un medico. Raggiunto il convento e assunta cognizione della cosa, il dottore escluse subito l’epidemia, individuando nel salame avariato la causa di quella penosa intossicazione alimentare. Consenso unanime, stavolta, tra i frati sfibrati, nel votare la mozione che contemplò il rientro al convento in carrozza, anche se, certamente, “Franciscus non scarrozzabat”.

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