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Mercoledì, 24 Aprile 2024
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SCHEGGE di Antonio Carlo Ponti | Riflettendo sull'Idiota di Fëdor Dostoevskij

Il direttore Nicola Bossi sua sponte mi comunica che l’ultima mia “scheggia” ha raccolto come sempre centinaia di lettori (no che non ve lo dico!) ma pure qualcuno in più. Allora ho detto a Nicola che avrei potuto scriverne e mandargliene non una ma due a settimana e lo sventurato come la monaca di Monza rispose. I temi sono molti e io mi piace scrivere come il maestro che diceva io speriamo che me la cavo. [Un pensiero riconoscente a Lina Wertmuller.] Ecco, questa è la seconda “scheggia” a distanza ravvicinata e poiché la gentilezza è piaciuta ci torno su. Ma come esprimere cose, pensieri nuovi? Un giretto nella memoria mi dà una risposta cui non si può dire di no. Beh a uno che ha letto un pugno di libri viene in mente il principe Lev Nikolaevič (Leone significa tradotto, e invece è un agnello sacrificale, e si chiama Lev come l’altro gigante Tolstoj) Myškin, sì, lui, l’idiota. 

La creatura assolutamente buona, un Cristo del XIX secolo. Una sorta di controfigura, di stunt man di Gesù, uno che si sarebbe certamente vaccinato, ci scommetto l’intera mia biblioteca. Un coup de dés jamais n’abolira le hasard, come recita la poesia di Stéphane Mallarmé: un colpo di dadi non cancellerà il caso. Sovente il caso è tutto. Così come il caos. Il principe russo è un candido totale, incapace di volere il male, addirittura di pensarlo dentro il cuore, puro, e è un uomo predestinato a soffrire, circondato dall’avidità, dalla doppiezza, dall’ipocrisia di donne e di uomini che in lui vedono l’ingenuo da depredare e lui s’immola, non è idiota per caso, ha le stimmate della vittima. 

E è il simbolo della gentilezza di cuore e di maniere. Un grande romanzo scaturito dal genio di Fëdor Dostoevskij, scritto quasi interamente a Firenze al civico 22 di piazza de’ Pazzi [vi hanno murato la targa], nel 1869, quando lo scrittore scontava l’esilio per debiti (lui per dieci anni l’asservito e abbrutito giocatore alla roulette – ne racconterà ne Il giocatore –come un altro grande Vittorio De Sica). Il principe è un eroe religioso che vive in una società di orrende disuguaglianze sociali, con la servitù della gleba che è schiavitù per cui si potevano comprare, sic, le ‘anime’, e la cosa ‘strana’ è che l’alta letteratura che ne denuncia l’iniquità la scrivono o nobili (Tolstoj) o borghesi (Turgenev, Dostoevskij, Čechov, Gogol’, Puškin…). 

Che il vizio del gioco, accanto all’epilessia, sia sopravvenuto in Dostoevskij quale sfida alla sorte, al destino, alla fortuna quando venne portato accusato di cospirazione davanti al plotone di esecuzione e le pallottole erano caricate a salve? Un macabro scherzo di un potere cieco e crudele. Leggo sulla “Settimana Enigmistica” – un’eccellente amica serale – sulla rubrica “Strano, ma Vero!” che il Palazzo d’Inverno di San Pietroburgo dove lo zar Nicola II amava trascorrere solo poche settimane all’anno, erano presenti circa 1.200 addetti e servitori. Mo’ avete capito, gente, perché scoppiò la Rivoluzione d’Ottobre? 

Questa l’ho letta in un libro di Emilio Gentile e racconta di Vladimir Il’ič Ul’ianov, detto Lenin, la mattina del 9 ottobre 1917 rientra a Pietrogrado (ex San Pietroburgo) in treno, senza baffi e senza barba, con la parrucca in capo, una giacca nera con collare da prete, travestito insomma da pastore finlandese e è l’ora ics della rivoluzione. Se l’avessero preso forse la Storia con la maiuscola sarebbe andata in modo diverso. Ma la storia non si fa coi se. Vabbè, son partito con il principe Myškin e sono arrivato a Lenin ma mi è venuta la fantascia di dire di un altro illustre idiota, così chiamato in tre tomi di Jean-Paul Sartre
(che comprai e non lessi) L’idiota della famiglia, in cui si tratta di un ritardato, Gustave Flaubert, sissignori, uno che esalando l’ultimo respiro non del tutto gentile: «Io sto morendo ma quella puttana di Emma Bovary vivrà in eterno».
 

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