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SCHEGGE di Antonio Carlo Ponti | Italia. Un paese di grandi vecchi immortali, sulla carta stampata

La guerra continua e il macellaio, laureato alla premiata libera università del kgb, ruba il grano agli africani e appena firma un accordo subito fa
sparare i missili sui civili. Io – sarò solo un modesto cronista di provincia – ma seguito a tifare per gli Ucraìni nonostante i putiniani Revelli,
Canfora, D’Orsi, Cremaschi, Fratoianni, Di Battista, Santoro, Orsini, Giorgio Bianchi, Petrocelli e compagnia cantando. Contenti loro. Vittime meste di sfibrate ideologie. Però la morte è buffa. Non va tanto per il sottile, dicono ci siano bombe intelligenti ma mi pare che un soldato sia
diverso solo perché indossa una divisa. La morte non fa sconti. La morte è un fiume in piena, non un Tevere ridotto a rigagnolo per la siccità, e cancello da mio pantheon provvisorio Federico Rampini che dall’alto delle sue bretelle mitiche osa insultare la mia amata Greta. Innamorato di sé e delle televendite dei suoi libri. 

Egli va in tv esaltando le auto Tesla che chissà dove prendono l’elettricità, si carica essa come una obesa pila sul carrello al supermercato? Solo il sole bellu e radiante e frate vento sono amici di Greta. E di nostra matre terra. E intanto la morte, la pòssino!, falcia i nostri ultras attempati, a mitraglia. Sì, i grandi vecchi grandi per pensieri parole opere. Cervelli lucidi, scrittori profondi e fecondi e facondi. Li elenco alla rinfusa: Boris Pahor, Alberto Arbasino, Eugenio Scalfari, Pietro Citati, Roberto Calasso e, in altri settori, Leonardo Del Vecchio, Monica Vitti, Raffaella Carrà, Gigi Proietti… la lista è lunga. 

Si era nel 1961 e Raffaele La Capria, napoletano verace, morto in questi giorni a cento anni, pubblicò da Valentino Bompiani il secondo libro “Ferito a morte”, Premio Strega, che non senza sacrificio comprai e non trovo negli scaffali e sto rileggendo in edizione Mondadori. Ricordo la suggestione
quando sposò la bellissima Ilaria Occhini, attrice ma per me patito di belle lettere la nipote di Giovanni Papini. 

Il romanzo, una pietra miliare, un capolavoro, lo lessi a Lecce durante il corso allievi ufficiali, e lasciò il segno, di molti libri pur notevoli, non ricordo quasi niente, di questo s non la cosiddetta trama, che del resto non ha, ho conservato negli anni suggestioni, emozioni, atmosfere, ironie, paesaggi marini e subacquei, perché molti episodi si svolgono sul, anzi dentro il mare del golfo, sfiorando in barca alcune delle duecento ville che vi si affacciano: D’Avalos, Cutolo, Peirce, popolato da Massimo il protagonista e da Carla, dal mitico Sasà e Betty, Guidino, Ninì.
Una polifonia meridionale non immune da cenni all’attualità, abitata da giovani senza certezze e futuro, abbrustoliti dal sole e a pesca di cernie giganti che sfuggono regolarmente alla fiocina. 

Un romanzo anche tragico nella sua apparente leggerezza, scritto sull’onda di flussi di coscienza, quando i pensieri inseguono pensieri, senza spazio e tempo, concatenati e scatenati, una narrazione tutta flashback e associazioni di idee. Giuseppe Marotta non per caso chiamava i suoi concittadini napoletani “alunni del sole”. Esposti al sole come pannelli fotovoltaici e al vento come pale eoliche. Si auto ironizzava il simpatico
Luciano De Crescenzo, un altro dei novantenni che hanno tolto il disturbo da poco tempo. La Capria e De Crescenzo ci hanno lasciato un paio di cento volumi e sceneggiature e film. Due giganti. Solo che Raffaele La Capria ha scritto “Ferito a morte”.

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