rotate-mobile
Rubriche

SCHEGGE di Antonio Carlo Ponti | Un crimine è un crimine, chi rompe paga, Basta revisionismo storico. Il caso Rocchi

Franco Cardini, i neuroni calano di numero anche agli storici preclari, non pago delle arrabbiate difese di Putin l’invasore e macellaio, arriva a postulare l’ingresso di Armando Rocchi nel novero dei Giusti delle Nazioni. Dove? a pagina 18 del volumetto di Stefano Fabei “Il prefetto Rocchi e il salvataggio degli ebrei”. Non entro nel merito di una ricerca un po’ confusa, scritta maluccio, fra simpatia istintiva e irredimibile condanna per i crimini, che un episodio non può
riscattare, come lo è stato al contrario nel ridurre, con alcune testimonianze a favore pure di ebrei, le pene detentive e accessorie nei vari gradi di processi. Insomma il famigerato Prefetto della mia infanzia se la cavò con poco, come ad esempio fulgido Gaetano Azzariti, presidente fascista della Commissione per la razza, divenuto udite udite presidente della Corte Costituzionale della Repubblica nata dalla Resistenza. No guai ai vinti, ma un poco di decenza, diamine!

Io ne ho piene le tasche dei soliti mantra «la storia la scrivono i vincitori» e – semplifico – dei relitti o cascami del crocianesimo «ogni storia è contemporanea e la storia non ha morale». Un crimine è un crimine, chi rompe paga. Ah! la memoria breve di noi italiani. Il Rocchi, guerriero e guerrafondaio nato (Grande Guerra, guerra civile di Spagna tête-à-tête con Francisco Franco, i Balcani accanto ai fascisti croati) che alla parola guerra metteva mano alla pistola come i nazisti alla parola cultura, era un uomo crudele, inflessibile con i renitenti alla leva del boccheggiante fascismo di Salò. Domanda retorica. Mario Grecchi lo salvò? Al diciottenne partigiano vennero fatte trasfusioni di sangue per tenerlo in vita fino al giorno della fucilazione. 

Rocchi non era antisemita, dicono. Rocchi mandò venti ebrei sull’Isola Maggiore del Trasimeno, evitando la cattura, che poi don Ottavio Posta coi pescatori traghettò a Sant’Arcangelo in territorio liberato. Dov’era Rocchi? Quando la sera del 21 settembre 1943 il fratello di mia madre Edvige, l’avvocato Gabriele Crescimbeni, nato a Bevagna nel 1893, capitano per meriti di guerra, viene prelevato da casa senza accuse, e viene portato in galera (Ottorino Gurrieri gli dedica il libro “Nelle carceri di Perugia sotto il terrore nazifascista 1943-1944“, a cura si Andrea Maori) mio padre Giuseppe, iscritto al PNF, dirigente pubblico, si recò a Perugia e riuscì a parlare con Rocchi che gli promise aiuto.

Mio zio invece fu avviato, con altri 13 prigionieri su oltre 400, al campo di concentramento di Reichenau di Innsbruck dove morì la notte del 21 febbraio
1944. Mia sorella Carla, anni 90, ha dedicato a zio Lelle “Morire a Innsbruck”. Di tutta questa rilettura buonista di cronaca e storia il dato che mi fa arrabbiare di più è la burocrazia del terrore, le liste di antifascisti o non fascisti redatte con ragionieristica pignoleria, la violenza impiegatizia, la stupidità armata, le piccole vendette e ripicche, i registri e gli elenchi della vergogna. Tutto questo il fascismo che aveva distrutto l’Italia e il suo popolo languiva e moriva con il suo duce travestito da soldato tedesco che tentava la fuga come un povero cristo. Ecco, questo mi brucia, se penso alla morte inutile di mio zio cinquantenne, tre figli, su un lettuccio d’ospedale in quell’Austria che aveva combattuto da eroe. Inutilmente. Tutte le guerre sono inutili stragi.

Si parla di

In Evidenza

Potrebbe interessarti

SCHEGGE di Antonio Carlo Ponti | Un crimine è un crimine, chi rompe paga, Basta revisionismo storico. Il caso Rocchi

PerugiaToday è in caricamento