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Schegge di Antonio Carlo Ponti | E la notte parlo da solo...

Per un attimino, come direbbe un bolso sabotatore linguistico, ho avuto paura....

Per un attimino, come direbbe un bolso sabotatore linguistico, ho avuto paura. Un vecchio solo alla guida dentro un magma rutilante di automobili e di motociclette e ragazzi e ragazze accorrenti e ballanti a sportelli spalancati, come dentro un’estasi vudù, invasati, deliranti, e agli incroci delle vie anche gente matura avvoltolata in bandiere tricolore, il vessillo della vittoria e dell’amor patrio. Nonostante veti dei figli: sei vecchio, ti devi operare di cataratta, chissà a che ora la partita finisce… ma dove vai… io andai a Corciano, per decenni mia prateria per memorabili scorrerie di arte e di poesia, a guardare la partita nel giardino di Antonio Mario Pagana con amici che non vedevo da tempo. 

Non so se lo sapete ma abbiamo segnato una rete in più e abbiamo in mano la coppa. Una guerra. Cominciata da suicidio. Alle dodici e quaranta – privo di cellulare perché da minus habens l’avevo dimenticato a casa – scendo dal colle al piano. Dalla rotonda di Ellera è cominciato il calvario durato fino alle due di lunedì e meno male che ho avuto il coraggio di imboccare un paio di divieti. Code strombazzanti, bandierine e trombette e Goffredo Mameli e Notti magiche e urla, inni, strepiti, ruggiti, braccia come mulinelli e guidatori che col cellulare si facevano i selfie e le luci abbagliavano e i suoni e i umori e le grida ottundevano i sensi. Io nel
mio abitacolo un po’ impaurito ma divertito, pensavo a quanta vitalità e stupidità può condurre la noia e la routine, la fuga dalla realtà e dalla peste, da quando la mascherina è sparita spaventata, e i novax non sono ancora morti, l’euforia è liberatoria come il palo alla sinistra di Gigio che guadagnerà al Psg un milione al mese.  Ma dove volete andare prof Galli o professoressa Viola coi vostri vetrini e microscopi, dopo tutte le vostre sudate carte e le vostre patacche accademiche. Però.

Quasi due ore di realtà virtuale e surreale alla Magritte chiuso nella macchinetta a quattro ruote sono state davvero non ore ma notti magiche, mentre appunto il fratellid’italial’italias’èdesta (Berlusconi ha rubato il forzaitalia e Meloni l’inno nazionale, casapound ha rapito Ezra ma qualcuno tentò di portarsi via il duomo di milano) rimbombava. E io guidavo mangiandomi mezza frizione immerso in un crogiuolo di follia infantile e irragionevole e poetica. Dal sottopasso della stazione all’inizio di via Pellas ho avuto il piacere, non scherzo, di ascoltare per mezz’ora da una vettura che mi stava appiccicata Seven Nation Army del duo The White Stripes, che per me digiuno di postmodernità m’è parsa bellissima. 

«Ogni singolo ha una storia da raccontare, ognuno la conosce, dalla Regina d’Inghilterra ai segugi dell’inferno… e io parlo da solo… e le macchie che escono dal mio sangue mi dicono: torna a casa…» Una notte così la rivivrei perché notti così non le avevo vissute… po popopo popopo… po popopo popopo…

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