rotate-mobile
Rubriche

STORIA Perugia e la Marcia su Roma. Il ruolo del Duca d'Aosta, di Vittorio Emanuele III e il discorso di Mussolini dalla Loggia della Vaccara

Prosegue la conversazione con lo storico Gian Biagio Furiozzi sul ruolo di Perugia circa la Marcia su Roma e le sue conseguenze

Prosegue la conversazione con lo storico Gian Biagio Furiozzi sul ruolo di Perugia circa la Marcia su Roma e le sue conseguenze.

Quale il ruolo del Duca d’Aosta in questa vicenda?
“Quanto ai circa 8.000 miliziani della riserva acquartierati nei pressi di Foligno, insieme ad essi vi era, alloggiato nella vicina Bevagna, il Duca D'Aosta. Era costui un personaggio di simpatie fasciste, indicato come probabile regnante al posto di Vittorio Emanuele III. Il Duca D'Aosta si teneva pronto a subentrare, nel caso in cui il sovrano avesse dichiarato lo stato d'assedio e quindi contrastato con la forza la presa del potere da parte del fascismo”.

Il re credeva a questa eventualità? Se ne preoccupava?
“Che il Re fosse seriamente preoccupato di questa eventualità, lo ricaviamo dai ricordi della figlia del Presidente del Consiglio allora in carica, Luigi Facta. Il Capo del governo andò in udienza al Quirinale per proporre al sovrano la firma dello stato d'assedio. Facta riferì alla figlia che il Re continuava a camminare agitatissimo all'interno del salone, ripetendo ossessivamente: “Arriva il Duca d'Aosta!”.

Insomma, Vittorio Emanuele III voleva salvare la poltrona e sottovalutò il fascismo.
“Unitamente alle pressioni della Regina e del Capo di Stato Maggiore dell'esercito, probabilmente questo fu un altro motivo, forse il maggiore, per il quale Vittorio Emanuele lasciò via libera a Mussolini. Era infatti convinto – come disse durante la sfilata delle camicie nere sotto il Quirinale – di potersene liberare in sei mesi”.

Un livello di comprensione piuttosto basso da parte del re Savoia: si illudeva di poter strumentalizzare Mussolini (nanus in humeris gigantis insidens) ma ne rimase vittima.
“Non era la prima volta, del resto, che il Re agiva spinto dalla paura. Nel 1915, di fronte alle minacce di abbattere la monarchia da parte di Mussolini, di Peppino Garibaldi e di altri interventisti fanatici, Vittorio Emanuele aveva spinto per l'entrata in guerra dell'Italia dicendo: ‘Arriva la rivoluzione!’”.

Comunque sia, Perugia fu considerata la mamma della Marcia su Roma.
“Il 30 ottobre 1923, Benito Mussolini venne a Perugia a celebrare solennemente il primo anniversario della marcia. In quella occasione, al nuovo capo del Governo e ai Quadrumviri venne offerta dal Municipio la cittadinanza onoraria”.

Chiarita, una volta per tutte, la non-partecipazione del Duce alla Marcia su Roma! Cosa che Mussolini ribadì apertis verbis.
“Nell’anniversario dell’evento, la solenne cerimonia si tenne nella Loggia della Vaccara, nel Palazzo dei Priori, da dove il Duce, che confessò di non essere mai stato in precedenza a Perugia, pronunciò un ampio discorso, che riveste un notevole interesse in quanto in esso venivano esposte le motivazioni della presa del potere da parte del fascismo”.

Cosa disse, il Duce, in concreto?
“Mussolini, dopo avere espresso un vivo ringraziamento ai Quadrumviri, presenti accanto a lui, ai tre generali dell'esercito Ceccherini, Fara e Zamboni e ai comandanti della Milizia per l'azione da loro svolta nell'ottobre dell'anno precedente, disse che la lotta del fascismo non era diretta né contro l'esercito, né contro la monarchia, né contro la polizia e i carabinieri, e nemmeno contro il popolo lavoratore ‘ingannato da una demagogia stupida e suicida’. Ma contro la classe politica, che ‘andava sempre corrompendosi e degenerando’, contro il parlamentarismo, con ‘tutto ciò che di stupido e demoralizzante questo nome significa’. Era diretta ‘soprattutto contro una mentalità: una mentalità di rinuncia’”.

Fascismo come forza irresistibile.
“Mussolini si chiese: “Chi poteva resistere al fascismo”? Non ‘i pallidi uomini’ del Governo, non i partiti della democrazia ‘frammentati, segmentati all'infinito’, non i partiti ‘del cosiddetto sovversivismo, spazzati via dalla scena politica italiana’, e neppure il nuovo partito del dopoguerra, il Partito popolare italiano, che aveva ‘rivaleggiato con il socialismo quanto a demagogia’”.

La definizione della Rivoluzione fascista.
“Mussolini definì quella effettuata dal fascismo ‘una rivoluzione originale e grandiosa’, che non aveva ‘fatto i tribunali straordinari né fucilato nessuno’, che era circondata da un ‘consenso immenso del popolo’, che aveva vendicato gli errori compiuti nel dopoguerra, quando ai nostri soldati vittoriosi non fu consentito di occupare Vienna e Budapest e neppure di sfilare per le strade di Roma. Concluse dicendo di vedere l'Italia popolata da un popolo ‘laborioso e gagliardo che cerca la strada della sua espansione nel mondo’”.

Dunque, nessuna vendetta contro gli oppositori?
“E come no! Quanto ai tribunali straordinari, non sarebbero occorsi più di un paio di anni per vederli istituiti con le famigerate leggi “fascistissime”, che soppressero ogni libertà democratica e ripristinarono anche la pena di morte”.

Si parla di

In Evidenza

Potrebbe interessarti

STORIA Perugia e la Marcia su Roma. Il ruolo del Duca d'Aosta, di Vittorio Emanuele III e il discorso di Mussolini dalla Loggia della Vaccara

PerugiaToday è in caricamento