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L'ultimo saluto al musicista e scrittore Marcello Ramadori: il ricordo, quel duo da favola con Giuseppe (Peppe) Fioroni

E così Marcello segue di un pugno di mesi il suo sodale in musica popolare Giuseppe (Peppe) Fioroni, di aspetto da profeta biblico, pittore e ceramista e gallerista. Che, provvido mecenate, gli regalò, da me assemblato e prefato, il quarto libro di poesie: L’inverno del nostro scontento, che uscì, mio Dio, nel 2010 e davvero mi pare ierlaltro, un titolo scespiriano per testi ora impegnati da buon schegginese di monti e della Nera che vi scorre limpida da bere; ora di struggente melancolia, di nostalgia per i boschi silenziosi e appartati, per la sua gente rude e semplice. Il mondo medesimo che Ferruccio, il fratello pittore, ha cantato in vernacolo stretto. Dunque Marcello ha seguito nella morte Peppe che suonava, serissimo in faccia e mai sorridente, l’organetto diatonico e lui che percuoteva nacchere e tamburelli, da percussionista molto intonato e preso dal ruolo come se suonasse diretto da Arturo Toscanini. 

Un duo da favola che allietava l’animo, che scacciava ansie e fastidi della vita quotidiana, amici che stavano bene insieme, come capita ormai sempre meno, quasi ci si vergogna dei sentimenti oggidì. È molto duro immaginare che non ci sono più, che non ci saranno più le vernici alla Galleria Artemisia, che un mondo pulito e illuminato bene sta scomparendo a mano a mano, lasciando vuoti difficili da riempire. Il tuo Marcello amico mio chi potrà farlo vivere con altrettanta forza di ostinata poesia?
 

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