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Giovedì, 25 Aprile 2024
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NUVOLE di Carlo Antonio Ponti | Escher. Come compito dell’arte sia rendere visibile l’invisibile

Ogni promessa è un debito. Mi ha sempre meravigliato un po’ che nel «Pater Noster» si parli di debiti pur se so che non vi si tratta certamente dello sterco del diavolo. Il vil denaro che da millenni, dall’età della pietra, magari sotto forma di sassolini, affanna l’umanità e toglie il sonno mentre l’accumuli e ne vorresti
sempre di più oppure è più facile se non ne hai manco un becco. Vedi come si spengono perfino le banche. Insomma, io, cronista o cantastorie, sono reduce (tutti chi più chi meno siamo ex o scampati a qualcosa) della mostra fiorentina di Maurits Cornelis Escher, l’incisore olandese, più visionario del mitico immortale vascello fantasma «Olandese Volante» (da rivedere il film «Pandora» con Ava Gardner e James Mson). I mondi impossibili di Escher sono l’assurdo della realtà («ma siete davvero sicuri che un pavimento non possa essere anche un soffitto?»), costruzioni mentali e geometriche fatte a mano, scavando nei legni con i bulini, tratto dopo tratto, segno dopo segno, all’incontrario, e inchiostrare e premere e rivelare l’invisibile.

Algoritmi manuali, di polso e di polpastrello. Avevo promesso di occuparmi di artiste umbre o abitanti qui («Salve Umbria verde e tu del puro fonte / nume Clitumno!») e ho memoria e taccuino ricolmi, sarà la volta nel mio prossimo blablabla nuvoloso. Escher è un universo di incubi buoni, non perverso alla Piranesi, dove nelle sue tavole mostruosamente bene incise senti alitare le ombre cupe della Santa Inquisizione e le urla dei torturati; con l’olandese che amava l’Italia perdutamente, i suoi paesaggi da Roma in giù, dove convivono cento stili e mille civiltà, questo signore elegante e distinto, la barba ben curata, la maestria tecnica è messa al servizio dell’abilità che ti fa spalancare la bocca, da capogiro, profondità inaudite sul piano della carta, e oltre a ciò gli studi su concavo e convesso, sulle sfere riflettenti, insomma una colossale immensa straripante sinuosa sinossi di prospettive e di proiezioni ortogonali. 

Se Theodor Adorno diceva che compito dell’arte è di mettere il caos nell’ordine, Maurits Cornelis Escher ribatte che «adoriamo il caos perché ci piace produrre l’ordine». Vattelappesca chi ha ragione. Qui invece concordo con l’olandese: «Solo coloro che tentano l’assurdo raggiungeranno l’impossibile». Chapeau!
 

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