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LIBERO PENSIERO Piazza Nuova, demolire non serve: basta aggiungere la scala umana

Piazza e complesso architettonico-urbanistico di Fontivegge. Il punto di vista di Paolo Belardi

Piazza e complesso architettonico-urbanistico di Fontivegge. Il punto di vista di Paolo Belardi, professore ordinario di “Composizione architettonica e urbana” nell’Università degli Studi di Perugia.

So, caro Paolo, che il tuo parere diverge da alcuni giudizi espressi dal comune amico Michele Chiuini, vero?

“Rispetto, ma sinceramente non condivido, lo scetticismo con cui Michele liquida un pezzo importante dell’architettura italiana del Novecento, che non a caso campeggia sulla copertina del più recente libro di Germano Celant, dedicato all’architettura italiana degli ultimi cinquant’anni”.

Cosa dici della proposta di demolizione dello Steccone?

“Non condivido neppure il radicalismo con cui Michele propone la demolizione del cosiddetto Steccone: un edificio programmaticamente simile a due edifici-gemelli, realizzati da Aldo Rossi negli stessi anni a Berlino e a Milano, molto identitari e che nessuno ha mai pensato di demolire”.

Da dove discende la tua convinzione?

“Credo che dovremmo impegnarci a valorizzare il patrimonio architettonico della città, piuttosto che a demonizzarlo. Ricordo inoltre che la “Piazza Nuova” - essendo stata catalogata dal MIBAC nell’ambito del recente “Censimento delle architetture italiane dal 1945 a oggi” - è in via di tutela da parte della Soprintendenza. Il che sconfessa di per sé una sentenza tanto sommaria”.

I perugini la chiamano “Piazza del Bacio”, anche in memoria della storica ubicazione della Perugina. Secondo te, è sbagliato?

“Preferisco la denominazione ‘Piazza Nuova’ a quella di ‘Piazza del Bacio’, perché la piazza dovrebbe così chiamarsi in seguito a un apposito concorso di idee vinto, alla fine degli anni Ottanta, dall’allora giovanissimo architetto perugino Andrea Dragoni”.

Come mai i Perugini non hanno mai amato la realizzazione di questo segmento nuovo della città?

“Perché cavalcano dei pregiudizi figurativi. A ben guardare, il disamore dei nostri concittadini tradisce una vera e propria diffidenza aprioristica verso l’architettura contemporanea. Una circospezione molto diffusa a Perugia, imputabile all’assenza (ormai quasi secolare) di una scuola di architettura. Perché, parafrasando Goethe, l’occhio vede (e apprezza) quello che la mente conosce”.

Dunque, incomprensione di fondo. C’è dell’altro?

“Stigmatizzo l’ignoranza che aleggia sulla piazza di Aldo Rossi e che ne condiziona la percezione. Incomprensione tradita da iniziative recenti a dir poco sciagurate. Penso al rigurgito vernacolare che ha spinto a tinteggiare di colore zabaione i setti in calcestruzzo faccia a vista del cosiddetto Broletto: sono certo che a nessuno verrebbe in mente di pittare con un altro colore il ‘Grande Nero’ di Alberto Burri, anche se non ne comprende appieno la bellezza”.

Altre incomprensioni o sfregi?

“Segnalo lo scarso rispetto per l’impianto d’illuminazione originario della piazza, firmato da un grande nome del light-design come Piero Castiglioni (autore, tra l’altro, del progetto d’illuminazione del Museo d’Orsay a Parigi)”.

Dunque, a tuo avviso, niente demolizione?

“Personalmente non credo nelle demolizioni integrali, soprattutto se si parla di architetture d’autore. A Perugia basta e avanza quella perpetrata recentemente ai danni dell’ex mattatoio di Claudio Longo, demolito e soppiantato da un anonimo capannone commerciale”.

Allora, non si tocca niente?

“Tutt’altro. Sono convinto che un buon progetto di architettura sarebbe capace di completare la piazza con ciò che forse le manca: la scala umana. La soluzione, per me, sta nell’intervenire utilizzando bene la matita (se possibile con un progetto d’autore), non la gomma. Ad esempio, amplificando i collegamenti pedonali con l’intorno e completando le quinte della piazza”.

[alla prossima puntata le proposte concrete]

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