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#FerroGommashow - Vendita del minimetrò: finirà come con Sipa? Tanti i punti in comune tra passato e presente

Felice anno nuovo Umbria. Sarà, però, veramente l’anno della svolta?

Al momento non ancora. Però, secondo gli addetti ai lavori dell’esecutivo regionale (assessore Enrico Melasecche in testa), presto potrebbe diventarlo. Nel secondo anno di pandemia le partite trasportistiche per l’Umbria sono essenzialmente tre, più una. Le tre partite in questione sono in ordine: ferrovie (mantenimento del Frecciarossa, potenziamento ferroviario e resurrezione della ex Ferrovia Centrale Umbra), “Nodino” di Perugia e aggiornamento della viabilità regionale veloce, e, infine, il rilancio dell’aeroporto. La partita “accessoria” invece si gioca a Perugia. Ed è proprio su questa partita accessoria che potrebbe scriversi una parte del nuovo capitolo trasportistico della regione Umbria.

Nel capoluogo la vendita delle azioni di proprietà comunale del people mover noto come mini metrò potrebbe rivelarsi un punto di svolta decisivo per gli investimenti dei prossimi anni. Il discorso è apparentemente semplice. Il minimetrò pesa da anni sulle casse, sia comunali sia regionali, dato il suo essere in costante perdita a causa di una grossolana sopravvalutazione in sede di verifica progettuale della potenziale utenza che ne avrebbe potuto usufruire. Ciò ha comportato un costante ammanco, impossibile da ripianare con la bigliettazione, che inevitabilmente ha finito per pesare su tutto il sistema dei trasporti regionale. Inoltre, dal punto di vista del servizio, la natura essenzialmente statica e non flessibile del people mover ne ha quasi sempre pregiudicato un’utilizzazione più efficiente, o comunque più aderente alle necessità reali. Pertanto le perdite milionarie accumulate nel corso degli anni potrebbero essere in minima parte recuperate dalla cessione da parte del Comune di Perugia delle azioni della società che lo gestisce. Il valore stimato a seguito della più recente perizia è attestato sugli 11,3 milioni di euro per il 70% del pacchetto azionario della società che gestisce il minimetrò. Pertanto tale somma costituirà la base di partenza della vendita.

È qui che le cose si fanno interessanti. L’intera vicenda fin qui ricalca molto strettamente un altro precedente di vendita, e cioè quello della Sipa, la società unica che a suo tempo gestiva tutti i parcheggi a pagamento del capoluogo. La cessione di quest’ultima agli spagnoli di Saba decretò sì una maggiore economia per il Comune di Perugia, ma d’altro canto la perdita del controllo comunale ha per contro lasciato mano libera agli spagnoli e ha portato dapprima ai robusti incrementi di prezzo (tanto da trasformare una risorsa strategica come il parcheggio multipiano di Piazza Partigiani in una struttura sottoutilizzata ed evitata dalla cittadinanza, con ovvi riflessi su traffico e qualità della vita nel centro storico). Successivamente, la necessità di evitare ulteriori incrementi di prezzo, ha costretto il Comune di Perugia in tempi recenti ad una trattativa che si potrebbe definire al limite dell’umiliante dove in sostanza la Saba ha ottenuto l’aumento del numero delle strisce blu in città a fronte di un impegno a contenere i costi delle tariffe orarie, salvo che l’aumento dei costi non sia giudicato “inevitabile” per le esigenze aziendali. In pratica la vicenda della Sipa-Saba ha dimostrato come, una volta entrato in possesso dell’infrastruttura e del servizio strategico, sia il privato ad avere tanto il coltello dalla parte del manico, quanto l’ultima parola. L’amministrazione comunale pone l’accento sulla questione economica sia dal punto di vista della riduzione delle perdite, sia da quello della cessazione delle fideiussioni (alias i mutui per costruire il minimetrò), che dovrebbero passare all’eventuale nuovo proprietario delle quote societarie. Al momento l’unico soggetto che potrebbe avere le risorse economiche e, forse, un minimo interesse nell’eventuale acquisto delle quote societarie, parrebbe essere solo BusItalia.

L’eventuale acquisto da parte dell’azienda del gruppo Ferrovie dello Stato porterebbe verosimilmente a due immediati effetti. Il primo sarebbe il totale monopolio sul trasporto pubblico nell’area urbana e sub-urbana di Perugia. Ovviamente. Ma questo cosa comporterebbe? Autobus, servizi metropolitani ferroviari sulla ex-Fcu e minimetrò. Per servire una città di meno di 167 mila abitanti, che salgono a poco più di 200 mila considerando i comuni limitrofi e i residenti delle altre aree direttamente interessate dal trasporto pubblico cittadino, portano ad una importante, logica, ma brutale considerazione: qualcosa è di troppo. Troppo poca è la potenziale utenza per permettersi di tenere in piedi un simile sistema di trasporto pubblico locale. A questo poi andrà a breve aggiunto anche il Bus Rapid Transit che sarebbe di imminente realizzazione. Dato che fondamentalmente BusItalia è un’azienda a carattere privato (sia pure con finanziamenti pubblici), che interesse potrebbe avere a pagare milioni per poi doversi trovare a dover fronteggiare una situazione di perdita finanziaria? A questo punto due potrebbero essere le ipotesi plausibili. Un robusto finanziamento assicurato dalla Regione per appianare le perdite dell’azienda (ma sarebbe come prendere i soldi da una parte per spenderli dall’altra), magari coadiuvato da misure di disincentivazione della motorizzazione privata nel capoluogo (ad esempio un estensione della ZTL e blocchi ambientali per le vetture in varie zone della città). La seconda ipotesi potrebbe essere una sostanziale mano libera lasciata a BusItalia per riuscire a mettere a frutto i propri investimenti (il che peraltro non escluderebbe la prima ipotesi a priori), come accadde a suo tempo nella vicenda della cessione di Sipa.

In questo secondo scenario l’esigenza strategica di BusItalia potrebbe essere evitare che i suoi servizi si sovrappongano. Un ipotesi potrebbe essere l’attestamento (parziale o totale) delle corse verso il centro storico al capolinea del minimetrò di Pian di Massiano onde trasbordare l’utenza sul minimetrò e aumentare così gli introiti da bigliettazione. Per riuscirci però sarebbe necessario o un incremento del costo del biglietto unico, o l’uscita del minimetrò dal pacchetto di validità del biglietto unico, con la conseguente necessità per l’utenza di dover acquistare il biglietto dedicato, o di sottoscrivere un abbonamento dedicato. In entrambi i casi sarebbe dunque l’utenza a pagare direttamente in prima persona.

Altra possibilità invece potrebbe essere la riduzione dell’orario di servizio (il che non esclude la precedente ipotesi). È noto infatti che il minimetrò prevede un esercizio di circa 14 ore al giorno, estendibili in caso straordinario fino a 17 ore. Oltre questo valore è impossibile andare poiché non sarebbe possibile effettuare la necessaria manutenzione giornaliera. Si evince quindi che si rendano necessarie almeno 7 ore di manutenzione al giorno. Per incidere su queste spese di manutenzione, mantenendo elevato lo standard di sicurezza, l’unica opzione praticabile per l’azienda potrebbe essere la riduzione di orario del servizio. Ecco quindi che il minimetrò potrebbe passare dall’attuale orario di funzionamento (07:00 – 21:00) ad un orario ridotto, magari spezzato in più parti per far fronte ai soli picchi di utenza delle fasce orarie di punta. Così facendo, passando cioè da 14 ore di servizio giornaliere, ad un totale di circa la metà (6 o 7 ore giornaliere concentrate nelle ore di punta) sarebbe facile perfino dimezzare i costi di manutenzione del minimetrò.

Queste sono le prospettive. Comunque vada a finire la vicenda della vendita delle quote societarie, ciò di cui l’Umbria ha bisogno è chiaramente che si volti pagina poiché i nuovi scenari economici e ambientali impongono tanto la riduzione di sprechi e sperperi di denaro pubblico, quanto la necessità di un sistema di trasporto pubblico locale efficiente e adeguato alle reali necessità dell’utenza. Per questo la pubblica amministrazione dovrebbe sempre pensarci bene prima di alienare i propri patrimoni strategici, onde evitare il ripetersi di scenari già visti.

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