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CORREVA L'ANNO di Marco Saioni | 1864, Perugia richiede con una petizione la sua assegnazione a capitale dell'Italia Unita

E’ un documento anonimo, recante in calce la data del 1864 e un curioso titolo “Perugia capitale d’Italia”. Lo pubblica senza chiose una blasonata rivista storica piemontese, “Il Risorgimento italiano” nella rubrica “varietà e aneddoti” (anno VII, fasc.1, 1914). Si tratta di una petizione bene argomentata, volta a proporre il trasferimento provvisorio della capitale da Torino a Perugia, fino alla liberazione di Roma, ancora sotto dominio papale, sostenuto dai francesi. Il fatto è noto agli storici e ne accenna anche Gian Biagio Furiozzi nel suo recente “Il birillo rosso” fragrante raccolta di fatti singolari riguardanti l’Umbria. L’idea di trasferire la capitale in Italia centrale rispondeva a evidenti ragioni logistiche dopo l’assetto unitario e i candidati furono numerosi ma, come noto, la scelta cadde su Firenze che per sei anni governò la nuova Italia da Palazzo Pitti.

Gli anonimi firmatari del documento perugino, probabilmente politici locali, rievocarono la coraggiosa resistenza della città contro le truppe pontificie e il tributo di sangue per la libertà, dunque, giacché “protesta vivente contro la tirannide sacerdotale” aveva pieno titolo per la designazione. Un argomento di peso, quello della strage perugina di cinque anni prima, seguito da considerazioni ispirate al buon senso. “Il momentaneo onore” concesso a un piccolo capoluogo, per diversi aspetti irrilevante, avrebbe evitato inoltre gare e gelosie tra le grandi città. Piaccia dunque al Parlamento nazionale “trasportare la sua sede nella piccola città di Perugia per ivi tenere le sue sedute sino all’intera evacuazione di Roma per parte dello straniero”. Insomma, una candidatura ad interim, essendo scontata la designazione definitiva della capitale.

E i torinesi? Loro che tante prove d’amore offrirono all’Italia saranno i primi ad acconsentire, “siam certi, al necessario sacrificio” assicurano gli estensori della nota. Come no. Appresa la notizia dell’imminente trasferimento a Firenze, fu immediato tumulto di piazza. Finì con un farneticante massacro, da parte del Regio esercito, che prese a fucilate i dimostranti. Decine di morti e feriti. Del resto, passare da capitale a periferia del Regno e conseguente scippo di ministeri, ambasciate, Banca Centrale, non fu certo indolore per l’economia e il prestigio locale. Tornando al documento, sicuramente autentico, data l’autorevolezza della rivista, ci si domanda se davvero gli autori fossero convinti di avere qualche possibilità di accoglimento della richiesta. A quel tempo e per molti anni a venire la regione, appena uscita dal secolare dominio pontificio e da poco inclusa nel Regno, marcava, infatti, una forte irrilevanza e arretratezza. Del resto i primi sbuffi di una locomotiva apparvero a Perugia due anni dopo la redazione di quell’atto. 

Non sola assenza di strutture in grado di sostituire l’impianto viario di epoca romana, opera certamente eccelsa, ma due millenni di anzianità tendevano a influire sulla velocità degli spostamenti. Basta invece scorrere le notificazioni del sindaco Ansidei del 1864 per farsi un’idea della città che avrebbe dovuto ospitare il Parlamento, la sede regia, le ambasciate e tutto ciò che richiedeva una capitale. Inconvenienti, così sono denominati certi atteggiamenti, diffusissimi in città, che suscitano vivaci reclami da parte dei passanti a causa del “gettito nelle pubbliche vie e piazze di fluidi, macerie ed immondizie qualunque”. Così, poteva capitare che un ministro come Quintino Sella, percorrendo una via fosse magari irrigato da fluidi indistinti, seppure spesso ascrivibili a effluvi giallo paglierino. Non meno sgradevole trovarsi sotto tiro di “macerie”, quali che fossero. Per questo sarà proibito “gettare sozzure, lavature di salumi, macerie, cose fetenti, sia dalle finestre che dalle porte delle case e botteghe”.

Un procedere guardingo era dunque obbligato per schivare insidie dal cielo e da terra. Analogamente, sarà interdetto l’uso di imbrattare con “orina tutte quelle vie e piazze dove sono sistemati i pubblici orinatoi” compresi i luoghi attualmente sprovvisti di tali servizi. Che fosse dovuto a diffusa ipertrofia prostatica o al piacere sottile di farla “nature”, la notifica del sindaco cerca di porre limiti all’incontinenza dei perugini riguardo all’ impulso mintorio. Anche il violento scroscio d’acqua dai tetti, dopo ogni temporale, costituisce palese disagio, magari meno infestante, seppure tale da smantellare robusti ombrelli. Così uno specifico provvedimento della Giunta municipale intima ai proprietari di “incanalare le grondaie fino al piano stradale”. Docce estreme evitate ma con le temperature sotto zero e in mancanza di condutture sotterranee il ghiaccio dilagava e le vie erano buone per le slitte. Certo, l’immagine di Vittorio Emanuele che sul cocchio reale procede per Corso Vannucci dovette intrigare, a patto di colmare le numerose, sempre lamentate buche che flagellavano la via, magari impiegando legno di quercia segato di testa, come suggerì qualcuno particolarmente creativo.

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