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Venerdì, 19 Aprile 2024
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Correva l'anno di Marco Saioni | 1911, A Perugia si affacciano per la prima volta le jupe culottes. Fu quasi sommossa popolare

Folate di tramontana e mani sui cappelli, gli occhi all’orologio del Comune che scampanando annunciava l’ora. Mattinata consueta di giorno feriale, non fosse per quei capannelli in attesa. Lavoranti affacciati dalle botteghe, negozianti, clienti, viandanti. Persino vedette col naso fuori dalla farmacia. Tutti lì a fissare un punto indistinto in attesa di qualcosa che sarebbe apparso da Maestà delle Volte. Qualcuno sapeva e alle domande dei curiosi offriva volentieri ragguagli. Di bocca in bocca l’ignara curiosità si fece notizia condivisa.

Spuntarono come vessilli sobillati dal vento. Due signore “in ampi fluenti calzoni bleu cielo e verde Nilo” incedevano con l’audacia del sorriso e artefatta indifferenza. Indossavano la jupe culotte, sorta di gonna pantalone, lanciata dallo stilista francese Paul Poiret e inaugurata a Parigi qualche mese
prima. Una vera bomba che sconvolse tutti i codici dell’abbigliamento femminile finora noti, in omaggio alla nuova identità che le donne cominciavano ad assumere. Reazioni isteriche in ogni parte d’Europa, però, con signore costrette alla fuga, assediate da folle eccitate.

Il venticello perugino ci mise del suo per spargere pepe su quel défilé che soffiando “sulle loro larghe brache dava una troppo efficace idea di femmina in culottes senza jupes” ironizzò il cronista. Chi fossero le due audaci non è chiaro. La stampa azzardò un ossimoro “due note sconosciute” come a suggerirne l’identità, probabilmente riferibile ad attività licenziose, forse esercitate dalle due. Non è escluso, tuttavia, come avvenuto in altre località, una passerella da modelle, utile a testare l’impatto sociale di un rivoluzionario abbigliamento. Come sia, la jupe culotte stava chiedendo ai perugini il diritto di cittadinanza.

Dopo lo sbigottimento collettivo, palesato da attoniti cespugli di sopracciglia e bocche dischiuse, fiorì qualche commento arguto, prima in sordina, per farsi insolente coro di voci a valanga. Neanche si trattasse di una manifestazione contro il caro vita. Sopra tale polifonia s’impose presto “il giudice supremo dei loggioni plebei” e fu bufera di virili fischi modulati da sapienti dita tra i denti. Quasi un segnale atteso e dai vicoli, come affluenti di Corso Vannucci, tutti i “forca” di bottega sfociarono per addensarsi a schiere e dare man forte, lanciandosi “dietro le piste della selvaggina in brache”. Da quella canea volò anche qualche sasso, per fortuna fuori bersaglio.

Al cronista che intese chieder conto di quell’atteggiamento nei riguardi di due signore toccò la risposta, poi diligentemente riferita in cronaca: “tutti on fatto cusie e no’ facemo listesso” . In effetti, analoghe manifestazioni di massa si erano già riscontrate in altre città d’Italia. Del resto, come sosteneva Pasolini, il conformismo della maggioranza è sempre, per sua natura, brutalmente repressivo. Non a Passignano, tuttavia, dove una signora esibì in teatro il biasimato indumento, suscitando consensi. Ma il teatro non è la piazza. Neanche l’avvento della minigonna, mezzo secolo più tardi, stimolò tanto interesse da parte
dell’opinione pubblica e la stampa. Cumuli di moralismo, più o meno palese, trovarono dunque spazio nei giornali, anche locali, uniti nell’intento di randellare l’avvento della jupe culotte “cosa brutta quasi quanto il nome”.

Non era questione di estetica, almeno non solo. Quegli atteggiamenti esasperati reagivano all’idea di una donna che usciva dagli schemi consolidati della gonna, in omaggio alla comodità. “noi riacquistiamo la libertà di movimento per scendere una scala, montare sul tram, sull’automobile” dichiarò una signora al giornalista.

L’Unione Liberale dedicò una pagina intera alla questione, riportando integralmente un’intervista del quotidiano milanese Il Secolo, alle principali attrici italiane. Fu diluvio di commenti, tutti in parte riconducibili al concetto espresso da Vittoria Lepanto, avvenente e sinuosa diva del film muto: “Toglieteci la femminilità della gonna e faremo la stessa figura che fanno i preti tra gli uomini”. Questioni di charme, dunque, non di reazione ideologica.

Considerato il clima, l’accoglienza perugina, città provincialissima, non poteva fare eccezione, ma la cronaca, nel descrivere l’evento, non mancò di riferire il contegno delle due bersagliate. Sfilarono esse, tra turbe di fischi e strepiti di folla come fossero omaggi al loro incedere, godendosi il tiepido sole di mezzogiorno. Poi la sosta per il vermouth alla pasticceria Baduel, calici levati alla salute di quanti in ressa dinanzi alle vetrine. Ne uscirono tranquille, le piume dei cappelli offerte al vento, i denti esposti al sorriso nel salire in carrozza per la via del ritorno. Insomma, due icone della Belle époque in mostra a Perugia. Sì ma, concluse il giornale “Non sarebbe prudente che ritentassero la prova, che il gioco è bello quando dura poco”.

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