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CORREVA L'ANNO di Marco Saioni | 1904 – la Fontana è malata, dunque va chiusa, smontata e ricomposta in un museo. Una copia la sostituirà

Per quanto splendida e maestosa, una fontana senza acqua sollecita aridi sguardi e diffusi mugugni. E’ troppo tempo infatti che il Comune ha spento il “magnifico getto” così, tra cittadinanza e oppositori del governo, ribolle schietto biasimo congiunto. Proprio per quelli che ululano senza conoscere lo stato delle cose arriva dunque lesta la piccata replica dell’amministrazione, volta a legittimare il secco provvedimento. La fontana maggiore soffre di un grave deterioramento e secondo i tecnici interpellati, anche un debole flusso potrebbe peggiorarne lo stato. Possiamo quindi assumerci tale responsabilità? Solo dopo il restauro, che sembrerebbe ancora possibile, sarà dunque restituita voce all’acqua. Tre anni più tardi la situazione non dovette presentare variazioni se Raniero Gigliarelli parla del tempo che “annera il candor del marmo levigato…e la nivea fontana oggi è del color dell’ombra”.

Oltre al malcontento per il liquido scippo, monta l’amarezza riguardo alla più generale trascuratezza di cui soffre l’intera piazza, la più importante della città, dove ai visitatori si para alla vista lo stato del portico di Braccio, ingombro di bottegucce e casupole. Non di meno, quello limitrofo alla scalinata della Vaccara, “occupato dalla macchietta di un arrotino”. Un popolare personaggio, noto per il bizzarro agire, indotto dalle smisurate degustazioni su base etilica, cui sembra anche dovuto il perenne dissesto economico, già gracile di per sé. A fargli compagnia, la macchina dei pompieri e il bivacco dei venditori di cesti, seduti in file digradanti sugli scalini. Per non parlare della distesa di maioliche e terraglia varia che nei giorni di mercato occupa buona parte della piazza. Ci sono anche loro, i venditori di cappelli di paglia, spesso in corsa forsennata a travolgere i passanti, nel tentativo di riacciuffare la merce in repentino decollo per gli azzardi del vento.

Frattanto si cercano soluzioni per la fontana, il cui degrado, ovviamente per dolo dell’insensibile giunta precedente e non già per la fatica dei secoli, preoccupa la comunità degli studiosi, anche nazionali. Porosità e fratture dei marmi, bassorilievi consunti e irriconoscibili, generale scadimento delle componenti non sembrano lasciare dubbi. Se si vuole garantire la conservazione ai posteri non c’è che una soluzione, smontarla pezzo per pezzo e ricomporla dentro un museo. Al suo posto andrebbe una copia, di cui sembra già pronto il disegno. La fusione in bronzo, in particolare, garantirebbe di preservare ogni dettaglio ma c’è ancora sul tavolo la proposta dell’Accademia belle arti di dieci anni prima, quella che su fornitura da parte del Comune del marmo necessario, ne avrebbe cavato una copia esatta. L’assenso ci fu anche ma la cosa morì lì.

Ipotesi grottesche, seppure sostenute anche da personaggi autorevoli come Francesco Moretti, mastro vetraio ed erudito insigne con incarichi in ambito di tutela. Fu anche direttore della pinacoteca cittadina. Suo il progetto della scalinata della Vaccara in due rampe, pure se gli preferirono la soluzione attuale, quella suggerita dall’architetto Guglielmo Calderini. La stampa, in particolare “l’Unione Liberale” offrì spazio alle varie proposte e c’è chi, a sostegno dell’ipotesi demolitiva, non esitò a riproporre la ricetta, già individuata cento anni prima, di cui aveva accennato Serafino Siepi nella sua “Descrizione topologico-storica della città di Perugia”. In pieno governo pontificio, nel 1822, si era infatti divulgato il progetto “di rimuovere la Fonte, altra sostituendone di moderna architettura”. Scopo dichiarato, quello di “rendere più vaga e scevera la piazza” oltre a preservare l’originale all’interno dell’Università. Era del resto sotto gli occhi di tutti che i decori marmorei “nelle lor parti minute consunti dal tartaro e dal tempo non lasciano penetrarne il significato”. La disinvolta soluzione che prevedeva una piazza medievale più ariosa e dotata di fontana moderna ma meno imponente suscitò la risoluta obiezione del Vermiglioli, primo cattedratico di archeologia in Italia. 

Il prestigio internazionale dello studioso evitò la sciagurata opzione da parte dei governanti ecclesiastici ai quali non poté tuttavia sottrarsi il Palazzo comunale, in parte ridotto a galera e deturpato all’esterno con interventi scriteriati. Fu uno stimato cronista, poi direttore del giornale conservatore, a chiudere la questione sullo smontaggio del manufatto medievale. La fontana che dovesse trasferirsi al chiuso in qualche sala, sostenne, perderebbe ogni interesse e rilevanza estetica in quanto parte insostituibile dello scenario urbano che ha “per sfondo la monumentale Piazza del Popolo”. Da cui l’appello rivolto a quanti, artisti e tecnici, chiamati a concorrere per preservare e restaurare “quanto ancora rimane di tanto monumento”. Chissà se qualcuno, edotto di poesia, avrà mai punzecchiato l’amministrazione con le suggestioni futuristiche di Palazzeschi: “Mia povera fontana, il male che hai il cuore mi preme. Si tace, non getta più nulla. Si tace, non s'ode romore di sorta, che forse...che forse sia morta?”.

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