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Correva l'anno di... Marco Saioni | Perugia, 1904: quelle prime automobili tra polemiche, cavalli imbizzarriti e sentenze

Un pezzullo di venti righe scarse. Così il giornale diffuse la notizia riferita alla comparsa di un bizzarro, sbuffante veicolo che aggrediva le pendenze senza tiro di cavalli. Era il 1898 e i perugini ammutolirono difronte all’affanno strepitante del primo mezzo a motore in città. Un accrocco su tre ruote, alimentato a vapore che vantava i quaranta chilometri l’ora e di cui il redattore precisò modello e pregi, “una bella e solida De Dion Bouton, capace di resistere alle forti salite delle nostre strade”. Pura poesia e avidità d’orizzonti per i rutilanti piloti che seguirono.

Fu l’inizio di un percorso che di lì a poco avrebbe visto germogliare il parco auto. Certo un extralusso per pochissimi. I costi erano infatti proibitivi, vuoi per l’acquisto, la manutenzione e per la voracità di carburante, anche quello particolarmente oneroso. Nessun distributore, la benzina si vendeva a latte, presso empori, farmacie, persino hotel. Le rare automobili iniziarono a contendere le vie alla vasta schiera di mezzi a trazione animale, oltre a coloro in sella ai vari quadrupedi. Una convivenza difficile e non priva di pericoli, come più volte registrato dalle cronache. Numerosi gli episodi di cavalli imbizzarriti dal rumore dei motori con esiti deleteri. Passeggeri di calessi finiti nei fossi o scaraventati a terra per ribaltamento erano piuttosto frequenti, tanto da generare diffusa ostilità nei confronti di tali turbolenti arnesi.

Toccò anche a Romeo Gallenga sperimentare l’aggressività degli astiosi oppositori, giacché ritenuto colpevole di un investimento, seppure fosse sceso dalla sua auto per soccorrere l’oste Trippanera, buttato giù da un tradizionalissimo carretto. Si racconta pure di un francese assalito davanti al Brufani. Aveva involontariamente pestato un piede a un curioso, avvicinatosi per guardare la sua auto ma il “pardon” fu male interpretato. L’avversione, pressoché generale, nei confronti di un marchingegno da ricchi, arrogante e pericoloso suscitava allo stesso tempo palese curiosità, specie tra i più giovani. Tutti in città conoscevano infatti i modelli circolanti e i rispettivi proprietari.

Successe un pomeriggio. Il giovane e impetuoso Pietro Ricciarelli percorreva il tratto di salita di Via Carlo Alberto (ora via Indipendenza) con la propria auto n. 17, non era difficile ricordare le targhe. In senso opposto il signor Pio Gori, fattore del conte Ranieri, affrontava la curva di Torre Donati in sella al cavallo. Turbato come consueto dal rumore, l’animale cominciò a dimenarsi, disarcionando l’uomo e urtando l’auto sopraggiunta. Danni al mezzo per 72 lire, escoriazioni varie per destriero e cavaliere.

Rimpallo di accuse tra i protagonisti, l’uno rivendicando i preventivi gesti e urla verso l’automobilista perché si arrestasse prima di affrontare la curva, l’altro sostenendo la propria correttezza per aver pompato con largo anticipo sulla trombetta ottonata a scopo di avvertimento. Ambedue si rivolsero al giornale per affermare le proprie ragioni. Se uno non sa cavalcare mica può prendersela con gli altri e poi quel cavallo, si sa, è facile alle impennate e per abituarlo ai moderni mezzi lo fanno girare in città. Ma non è ammissibile fare certi esperimenti in luoghi pubblici.

E no, la replica. Quel fracasso avrebbe spaventato qualsiasi animale e l’auto avrebbe dovuto fermarsi per evitarlo. E poi non ci sono leggi, ci mancherebbe, che proibiscono di percorrere le strade a cavallo. Inutile precisare che tutti i testimoni parteggiarono per il disarcionato. Si finì davanti al pretore, causa querele incrociate. La sentenza fece storia poiché, come racconta Uguccione Ranieri di Sorbello, l’autista, sebbene un po’scapestrato, usò in quel frangente l’accortezza di avvertire con largo anticipo il proprio passaggio. Di questo avrebbe dovuto tenere conto il signor Gori, scendendo da sella e trattenere l’animale per il tempo necessario. Del resto, argomentò il pretore, quando anche l’auto si fosse fermata, il rumore avrebbe ugualmente irritato il cavallo.

La sentenza decretò compensazione di spese e danni, ma da allora quella ventina di automobilisti perugini ebbe la certezza che l’odore della benzina si sarebbe presto imposto sullo sterco dei quadrupedi che impiastricciava le strade. Il futuro era già iniziato in quel tratto di salita, dove l’animale da trazione, in caso d’incidente, non avrebbe più avuto ragione a prescindere. Dovevano farsene una ragione calessi, cavalieri, giocatori di ruzzolone, persino passanti e farsi da parte al cospetto dell’ardito tumulto dei motori.
 

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