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CORREVA L'ANNO di Marco Saioni | 1906 Perugia- Il giovane Corradino perde la testa per una professionista del bacio e brucia un capitale

Niente nomi, solo dieci righe per esporre il fattaccio. La cautela del cronista fu palese omaggio alla rispettabile famiglia perugina da cui proveniva il giovanotto. Ma le voci, si sa, corrono in città, alimentando chissà quali dicerie e allora, qualche giorno dopo “il dovere di cronisti ci costringe a riferire”. Liberi tutti, quindi, anche perché la materia è ghiottissima, da porgere ai lettori con succulenti dettagli, sguazzandoci dentro senza riserbo. La Giannina, si notava, eccome, alta, morbida silhouette di clessidra. Uno spettacolo ancheggiante da provocare dissolutissimi istinti, sempre devoti al potere trainante dell’arcinota coppia di buoi.
Ventiquattro anni, romagnola, in trasferta a Perugia come “lavoratrice del bacio” nel gineceo di Via delle Cantine. Praticamente uno sfavillante spot ambulante per la sunnominata casa. Fu tra quelle lenzuola che Corradino, rampollo benestante e coetaneo della ragazza, rimase folgorato. I talentuosi giochetti di Giannina e forse la sobria dimestichezza di lui con la materia lo risucchiarono in un vortice che neanche le fasi più lisergiche di un hippie. Le visite si fecero sempre più frequenti e presto quel delirio erotico fu vissuto come amore, totale e dirompente, da trascurare ogni cautela e convenzione sociale.
Furono cene tête-à-tête nei più esclusivi ristoranti, calici levati caricati a champagne. Poi gite in carrozza, partite a carte, dove si perdevano tranquillamente somme, le sue, ma sempre in allegria.

Insomma una condotta non proprio all’insegna del basso profilo. Tutto ripagato però dai bramati momenti in alcova, in realtà assai tediosi per la ragazza, come ebbe a confidarsi con le colleghe. Le crescenti esigenze di Giannina, vissuta ormai come fidanzata da condurre all’altare, avevano ormai stremato le risorse del giovane, pure se di qualche rilievo. Del resto, come rammenta il detto, “Finirno i pregiutti anche ta Sorbo e ce neva sette stanzie! ” Fu la signora Tullia, madre di Corradino, del tutto inconsapevole riguardo alla morbosa passione del figlio, a ossigenare le sue finanze, ormai asfittiche. La vendita di una casa gli garantì infatti una consistente somma, quale parte a lui spettante. Un vero tesoretto, di cui mai aveva prima d’ora potuto disporre, lo innalzò alla felicità suprema, mettendogli ali nel raggiungere l’amata. A lei espose subito un seducente progetto denso di viaggi in Italia, tra lussuosi hotel, teatri, vita mondana. Mai più sarebbe stata in quella casa ma solo con lui.

Partirono tra siepi di colori in un radioso mattino. Una vacanza rutilante, trascurando una benchè minima gestione del capitale. In breve fu il suono di pochi spiccioli nelle tasche a ridestare Corradino dal suo sogno, anche perché, alla progressiva, ridotta capacità di spesa corrispondeva adeguata decurtazione di carezze, peraltro svogliate e sbrigative da parte della sua bella. Così si fermarono ad Arezzo, per esplicita volontà della ragazza, la quale trovò immediata ospitalità in una di quelle solite case, lasciando al suo destino il povero coglionazzo, ormai spennato a dovere. Giusto i soldi per il biglietto del treno. Bella botta rendersi conto in un istante che non era la sua ars amandi a sedurre Giannina. Scese ad Assisi, incamminandosi cupo per un viottolo di campagna, fino a raggiungere uno spazio deserto. L’ulcera di quell’umiliazione generò un guazzabuglio interiore che lo travolse. Si guardò intorno, prima di tirar fuori il revolver dalla tasca. Piazzò qualche colpo contro un albero, prima di rivolgerla contro di sé. Il lampo del boato, poi il buio e si mise a morire. Fiocchi di nubi e i contorni sfocati del paesaggio si svelarono ai suoi occhi dopo due ore di letargo. Quel proiettile non lo aveva ucciso e in un sussulto di vita riuscì a sparare un altro colpo, stavolta
in aria, allo scopo di richiamare l’attenzione di qualcuno, prima di ricadere privo di sensi, gli occhi sbarrati.

Il contadino che accorse lo credette morto e avvisò i carabinieri, i quali piantonarono il presunto cadavere, fino all’arrivo di un dottore. Il medico, esaminando il corpo, ravvisò segni di vita e dispose l’immediato trasporto all’ospedale di Assisi, dove i sanitari accertarono la presenza del proiettile conficcato in profondità nel cavo uditivo. Forse per qualche esitazione il colpo penetrò nell’orecchio destro invece che nella tempia. Decisero di evitare una pericolosa trapanazione del cranio, concentrandosi su “dolorosissime cure” sopportate dal giovane con “il più grande stoicismo”. Forse si consolò pensando al grande Casanova che seppure ben collaudato, tentò il suicidio nel Tamigi per l’umiliazione inferta da una giovanissima cortigiana di cui si era invaghito.

La ferita gli avrebbe tolto l’udito da quell’orecchio ma sarebbe sopravvissuto tra le amorevoli cure di mammina. Dalle cronache si apprende infatti che tre anni più tardi avrebbe ricoperto il ruolo di applicato di terza classe presso gli uffici comunali di Perugia. Un tiepido futuro impiegatizio dopo la botta di vita che lo vide sputtanare, è il caso di dirlo, una montagna di soldi, dovette sembrargli  una sorta di dantesca legge del contrappasso. La parziale sordità, dovuta a quel tappo di piombo, gli impedì forse di percepire troppo nitidamente il canto di altre sirene, quelle con le sembianze di pretty woman. Giannina, dal canto suo, trovò occupazione in un’altra città, dove fu subito “scritturata”.

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