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SCHEGGE di Antonio Carlo Ponti | La libertà di stampa corre gravi pericoli

È di questi giorni l’attacco verbale e scritto contro Antonella Manni, valorosa collega e fine intellettuale. Non voglio sapere gli arzigogoli mentali spesso deliranti degli autori di misfatti consimili a quelli delle orde barbariche di no-vax e no-green pass. C’è una vignetta di Altan su “L’Espresso” che raffigura un padre che imbocca il figlioletto – assiso sul seggiolone – il quale si ritrae schifato:« No. Sono no-pappa». Siamo a questo stadio di follia per cui una minoranza al 5% vuole imporre– in nome della libertà irrazionale e antiscientifica – i propri disturbi alla maggioranza al 90%. Sì, la libertà di stampa corre gravi pericoli. Non soltanto il web manipolatorio allontana dall’acquisto e dalla lettura del quotidiano (Hegel: la preghiere laica del mattino) ma alita nell’aria e abita cuori e menti un’intolleranza per chi informa e forma onestamente i cittadini, un’aura di conflitto e di complotto, che allarma i giusti. 

I giornalisti d’inchiesta o sui fronti di guerra vabbè rischiano per antonomasia, qualcuno si prende una testata sul naso e qualcuno vive sotto scorta o addirittura a Malta viene ammazzata. Non parlo dei regimi dittatoriali assoluti o quelli dove vige o sopravvive una tremula, tremebonda democrazia. No qui in Italia, dove i dittatori sono Sergio Mattarella, Mario Draghi, Roberto Speranza & Co. E non il fiorire e rifiorire di svastiche, saluti romani, croci celtiche, viva il Duce e heil Hitler. Che tristezza. Non sostengo che i colleghi giornalisti siano tutti indiscriminatamente delle mammolette, ma anche qui, come in tutte le categorie professionali e no, ci sono gli agnelli e le volpi e i lupi, e il maiale che dice che tutti sono uguali ma qualcuno è beninteso più uguale degli altri. 

Ma esiste anche lo sport di querelare per diffamazione in via civile e non penale, un modo più rapido perché si tratta di monetizzare l’offesa. E ritengo che esistano troppi giornalisti, mentre mancano medici e infermieri e insegnanti eccetera. È vero, scherzo, che come diceva l’inventore e il principe degli inviati speciali l’orvietano Luigi Barzini sr che è sempre meglio che lavorare, ma inviterei en passant a leggere qualche buon libro e così scrivere meglio. Poche ore fa si sono svolte le elezioni per il rinnovo della governance dell’Ordine dei giornalisti dell’Umbria, e ci sono stati vincitori e vinti com’è nell’ordine (in
minuscolo) naturale delle cose. 

Per la prima volta s’è votato in presenza (io c’ero) o on line e ciò ha facilitato l’aumento del numero degli elettori, in passato una malinconica minoranza. Benvenuto alla modernità, ma ho dei dubbi non sui brogli, lungi da me, ma sulla possibilità di influenzare. Vinca il migliore e stringiamoci compatti a combattere una battaglia o una guerra addirittura, perché i diritti e i doveri del giornalista, unitamente ai diritti e ai doveri di lettrici e lettori siano, restino sacrosanti. Sulla mia targa assegnatami per i miei (primi) quarant’anni di giornalismo (ufficiale e omologato: 1977-2017) sta scritta una riflessione amara del sommo giornalista e politologo Walter Lippmann (New York, 1889-1974), autore dei classici La giusta società e de L’opinione pubblica: «Non ci può essere libertà per una comunità che manca delle informazioni in base alle quali riconoscere le menzogne». Intendi Mark (Mystery) Zuckeberg?

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