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Giovedì, 25 Aprile 2024
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LA PROPOSTA | Fora (Civici X): Nuova vita agli spazi e continuiamo a consumare suolo? La formula placemaker-rigenerazione urbana

Di Andrea Fora - Consigliere Regionale Patto Civico per l'Umbria


«Non ho inventato io i placemaker, ma li ho incontrati», racconta Elena Granata, professoressa di Urbanistica al Politecnico di Milano e autrice del libro Placemaker – Gli inventori dei luoghi che abiteremo (Einaudi). Prendo spunto da questo interessante libro per pensare al futuro di Perugia e più in generale delle nostre comunità e di una regione che continua a fare del “Cuore Verde d’Italia” il suo identity brand. In questi giorni a Perugia è in corso Perugia Seed, il Festival Internazionale dell'architettura sostenibile. Quale occasione migliore per riaprire una discussione su quale visione dello sviluppo vogliamo per la nostra città e la nostra Regione e quali progetti ed interventi coerenti serve mettere in campo per il futuro?

Manutenzione del territorio significa prendersi cura di quello che già esiste senza aggiungere altro materiale né sottrarre ulteriore suolo. Un ribaltamento della prospettiva non da poco. Nel 2021 in Italia il consumo di suolo ha raggiunto il valore più alto degli ultimi dieci anni, con circa 70 chilometri quadrati occupati da nuove coperture artificiali in un solo anno, mentre gli edifici già costruiti ma non (più) utilizzati sono oltre 740 mila.

AdI dati umbri non sono più rassicuranti: tra il 2020 e il 2021 c’è stato un incremento di 112 ettari ed in nove anni, dal 2012 al 2021 l’Umbria ha avuto un incremento del consumo di suolo di 1.027 ettari che equivale ad aver occupato con strade ed edifici una superficie poco più grande dell’intero Comune di Piegaro.

L’incremento del consumo di suolo però non si associa con l’aumento del numero di abitanti, che invece diminuiscono progressivamente negli anni fino ad arrivare a 865.452 residenti (dato Istat 2020), 20.787 residenti in meno dal 2012 al 2020. Se poi consideriamo che il 29,3% del territorio umbro è montano, dove troviamo piccoli o piccolissimi insediamenti, è evidente che la maggior parte del suolo consumato si concentra nel restante 70,7% di territorio, in collina e in pianura e nei centri urbani più grandi.

Il Comune che ha visto l’aumento maggiore tra 2012 e 2021 in termini assoluti è stato Perugia con 90,5 ettari, una media di 10 ettari l’anno consumati. Solo nell’ultimo anno Perugia vince il primato regionale con 12,9 ettari di incremento.

Sebbene diminuisca in modo inesorabile la popolazione, si continua in maniera pervicace a costruire strade, aree commerciali, parcheggi e abitazioni, in una regione che a livello pro capite ha già un numero esorbitante di superfici di grande distribuzione commerciale, ben sopra la media nazionale, generando indirettamente anche traffico e inquinamento.

Anche l’Umbria deve cominciare a fare i conti con la realtà: fermare il consumo di suolo deve essere riconosciuta come una priorità assoluta di chi governa la regione e di chi amministra i comuni umbri, in linea con gli obbiettivi europei.

E non è solo una questione ambientale, ma di rivitalizzare i luoghi e ridare spazio di cittadinanza alle nostre comunità.

Come giustamente racconta Elena Granata ci servono meno architetti e più placemaker. Chi sono i placemakers?


Figure ibride che si occupano della rigenerazione dei luoghi che abitiamo e che abiteremo: ridanno vita agli spazi abbandonati, rendendoli funzionali e sostenibili, e riescono a trasformare la crisi globale e climatica in un un’occasione per ripensare le città. «Il concetto di rigenerazione urbana di solito fa riferimento a manufatti di tipo

industriale rimasti abbandonati nei centri urbani e di cui si ripristinano alcune funzioni», spiega Granata. «In questo caso è diverso: nella rigenerazione dei placemaker ci sono la reinvenzione e la restituzione alla comunità di un luogo. Può essere uno spazio agricolo, un borgo, una periferia abbandonata, un contesto nell’entroterra: un luogo che ha perso la sua funzione vitale rispetto agli esseri umani. È una rigenerazione che include una dimensione economica, di senso e anche di manutenzione del territorio».

Anche i grandi investitori e i grandi capitali che si muovono nell’edilizia hanno capito che c’è un vantaggio a investire sul recupero e sulla rigenerazione. È un dato di assoluta novità per il nostro Paese, ma certamente ciò non riesce ancora a contrastare la pulsione a costruire ex novo, perché su questo fronte rimangono enormi vantaggi di tipo finanziario.

Perugia è un esempio plastico di questa contraddizione evidente. Mentre si compiono buone opere di riqualificazione urbana, come l’operazione (ancora per la verità in fase di compimento) ben riuscita di rigenerazione urbana dell’ex tabacchificio di Via Cortonese, dove sta nascendo un interessante esperimento di housing sociale condiviso, l’Amministrazione Comunale sta pensando ad una nuova - l’ennesima - operazione di nuova urbanizzazione sullo steccone di Fontivegge. Si parla di 43mila metri cubi di spazio da utilizzare a destinazione commerciale e direzionale. L’idea sarebbe uno studente hotel presentato da un importante investitore privato.


Abbiamo ereditato una città organizzata secondo i tempi e i ritmi lavorativi. Una città non a misura di bambino (troppo traffico), di anziano (troppi inciampi e marciapiedi ostruiti), di giovani (mancano spazi di aggregazione), di persone disabili (troppe barriere architettoniche), di donne (la geografia urbana può rendere più o meno pericoloso rientrare tardi la sera.

Ormai ci sono molte esperienze in Italia operazioni virtuose di rigenerazione di spazi urbani, che hanno consentito di riconsegnare alla comunità opere immobiliari fatiscenti con operazioni economicamente convenienti, che hanno creato nuova occupazione e soprattutto hanno restituito luoghi.

Penso al recupero delle Catacombe di Napoli da parte di don Antonio Loffredo, trasformato in una stupenda operazione di impresa sociale e promozione turistica e culturale. Penso al centro storico di Favara, oggi trasformato nel Farm Cultural Park, un luogo condiviso con residenze d’artista e gallerie d’arte. L’altro a Mazara del Vallo dove Periferica, organizzazione che promuove la rigenerazione urbana, ha convertito una ex cava in un’area per eventi e festival.

Questo approccio richiede a tutti di reinventarsi. Alla politica, ai dirigenti pubblici, ai professionisti. Sono convinto che molti architetti possano con me sostenere che si può fare questo lavoro senza costruire, ma demolendo, reiventando, riciclando e restaurando. Va rifondato un approccio culturale a partire dalle università, che possono essere i player fondamentali per formare cultura, metodi e strumenti in grado di fare della nostra Regione e della nostra città capoluogo, Perugia, avamposto di pratiche di rigenerazione urbana e capitale della sostenibilità. Chi sono i placemakers? Soggetti capaci di immaginazione e una comunità che risponde. Gli ispiratori e i registi che poi chiamano a raccolta le competenze utili. Servirebbero veri e propri corsi di laurea per placemaking, coinvolgendo le università, gli ordini professionali, le migliori competenze presenti nelle nostre comunità. Questa è una delle sfide di un futuro che è sempre più presente. Si può fare!

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