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L'INDISCRETO di Maurizio Ronconi | Dal liberalismo alla destra sociale: ecco come cambia e i dubbi della Finanziaria Meloni

Sarebbe scorretto, nel valutare la nuova legge finanziaria, quella di marca Meloni, non considerare la drammatica situazione internazionale con la conseguente congiuntura, lo spropositato aumento dei prodotti energetici, la conseguente inflazione a due cifre, la coda della pandemia da Covid e, ultimo ma non ultimo, il debito pubblico nazionale ora davvero ai limiti della sostenibilità. Non è invece una attenuante per i nuovi governanti la scarsità di tempo a disposizione per immaginare ed approvare la legge finanziaria. E’ vero che i tempi sono assai ristretti ma la situazione era da mettere sul conto da quelli che hanno voluto la crisi di governo in piena estate non concedendo a Draghi gli ultimi mesi di lavoro.

Una finanziaria dunque che non affronta, né poteva, questioni strutturali ma si limita a parare la drammatica contingenza con particolare riferimento al quasi esclusivo soccorso nei confronti del caro bollette. Lodevole e comprensibile. Ma insufficiente. Tra le righe ed anche tra le pagine c'è spazio per alcuni spunti di preoccupata riflessione. Questa finanziaria propone un cambio di impostazione rispetto alle precedenti. E’ una legge finanziaria non più di marca liberale e neppure socialdemocratica ma la sensazione, e non solo, è che per la prima volta sia di “destra sociale”. Quel marchio che al di là delle parole riporta direttamente ad una destra che rimane ancorata ad antiche idee, meglio, ideologie, e soprattutto lontana più di quanto si immagini da comportamenti fatti di moderazione, europeismo, popolarismo. Nelle pieghe della finanziaria, sia pure costretta ed in larga parte obbligata dai noti eventi, elementi di destra sociale, di scarsa difesa delle attese del ceto medio con invece altrettanta premura, anche un po’ demagogica, verso ceti più popolari.

Sarà perché la destra per la prima volta al potere ha l'ambizione di allontanare occasioni di critica da parte della sinistra e dei populisti, sfidandoli sul loro stesso ambito sociale, tagliando ponti e possibilità di recupero a quelle parti politiche ma c'è di mezzo anche la matrice di una destra che non è liberale, conservatrice, come la Meloni vorrebbe far credere bensì tentata ed anche attratta da un “comunitarismo nazionalista”. Ed ecco la scelta nel tempo di una irreversibile, sia pure in crisi, globalizzazione, della esaltazione del Made in Italy, della poco credibile ed ancora più inattuabile “sovranità alimentare” che, complici, bisogna dirlo, alcune organizzazioni di settore, richiamano tanto alle remote “battaglie del grano”. Per non dire della flat tax che al di là della dubbia costituzionalità sembra voler distinguere di nuovo il Paese in corporazioni e comunque dividerlo tra chi paga, spesso esageratamente, le tasse e chi invece viene trattato in modo assai più benevolo.

E poi i pensionati che in parte, piccola in verità, vengono difesi dalla inflazione mentre altri vedono drasticamente ridotto il potere d'acquisto pur avendo in qualche caso maturato il trattamento pensionistico con un sistema prevalentemente contributivo. Il bonus studenti prima tolto poi reinserito con una odiosa differenziazione di ceto, tra quelli che provengono da famiglie presumibilmente abbienti e quelli invece con minori disponibilità. Si ritorna, almeno per alcuni casi, agli “antichi” elenchi dei poveri e in questo caso a scelte meno sociali ma più compassionevoli.

E la chicca finale della proposta di differenziare l'entità delle multe sempre in base al reddito, rappresenta la punta di una pulsione populista ed anche nazional socialista che ormai è difficile tenere a bada da un personale politico che per una vita ha dovuto reprimere progetti e speranze. E se tutto questo apparirebbe contraddittorio con la contestuale volontà di rivedere il reddito di cittadinanza, in realtà manifesta una coerenza con un malcelato nazionalismo che vorrebbe vedere pochi seduti sulle panchine dei giardini pubblici e molti di più magari a rastrellare le foglie degli stessi giardini. In tutto questo si intravede anche del buono ma soprattutto l'evidenza che questa destra ha archiviato il liberalismo conservatore che non ha più voce in capitolo, progetti da difendere, proporre o imporre e invade invece il campo malmesso e confuso della sinistra. Questa è la mutazione del nuovo centro destra che ha messo da parte il glorioso progetto liberale e liberista di Berlusconi, Urbani, Martino, Pera che nel 1994 si impose proponendo il trapasso post democristiano. Quel progetto è finito, vedremo ora quanto tirerà avanti quello della Meloni e di Fratelli d’Italia e soprattutto cosa produrrà.

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