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Martedì, 16 Aprile 2024
Politica

L'ANALISI di Aldo Potenza | "Europa, il recovery fund è servito... tra opportunità e (molte) criticità

"Cantare soltanto vittoria per quanto di buono è stato negoziato dal presidente Conte a Bruxelles e non vedere le complicazioni nuove nelle istituzioni europee e le difficoltà nazionali a poter ben gestire i fondi che potrebbero giungere, sarebbe un errore prima che fatale"

L’Associazione Socialismo XXI secolo ha preso atto che il travagliato negoziato del Vertice europeo sul Recovery Fund ha reso evidente la crisi di fiducia nei rapporti tra   gli Stati membri nei confronti della Commissione, ritenuta da alcuni troppo permissiva e non capace di gestire adeguatamente politiche generali e gestione del bilancio. Latente nella opinione pubblica dei singoli stati, ma evidente alle diplomazie, - la sfiducia tra settentrionali e meridionali e tra settentrionali ed orientali di Visegrad -è deflagrata in pubblico sui finanziamenti, sulle condizionalità e su chi dovesse validarle.

L’Associazione considera che il compromesso di Bruxelles non sia sufficiente a riassorbire una crisi che non soltanto avvelena il clima politico continentale ma allontana la realizzazione di una Europa solidale. Proclamare “storico” il risultato del Vertice è da una parte vero, perché è stato tracciato un indirizzo che durerà nel tempo, sottintendere come “storico” che sia anche positivo è invece inesatto, se si valutano separatamente le tendenze di fondo del processo di integrazione europea e i risultati istituzionali e politici dei compromessi tecnico-procedurali che hanno segnato l'esito del Vertice. Occorre sottolineare che la cultura politica del funzionalismo pragmatico, secondo la quale si consente nell'immediato che nessuno Stato vinca né perda troppo, è adeguata, o sopportabile, quando si traversano crisi di tipo ordinario. 

Oggi il mondo, dopo la crisi mondiale del liberalismo “autoritario” e globale, ben precedente al Coronavirus- che l’ha aggravata e resa evidente- subisce diseguaglianze straordinarie sia nei paesi fortemente sviluppati che in tutto il pianeta. Ci avviamo a tappe veloci ad un confronto duro e senza precedenti tra due diverse e planetarie concezioni del potere e dello sviluppo, sinteticamente riassumili nella competizione cino-americana, aggravata dalla crisi economica e esistenziale della Russia. La necessità, nel sistema globale delle sovranità multinazionali che ha messo in crisi il sistema multilaterale, di una partecipazione accorta ed evoluta, forte e autonoma dell’Unione Europea, esce danneggiata dai risultati “storici” del Vertice. Da Bruxelles sono emerse e sono state ratificate come necessarie, perché insuperabili se non pagando nel vero senso della parola chi si oppone ad un senso non commerciale ed utilitaristico dell’Europa, visioni e progettualità mondiali.

Aver ratificato il Superamento della Commissione Europea con un compromesso (braccio di ferro) sul nuovo bilancio e sul meccanismo di ripresa ha ridimensionato l’esecutivo comunitario e aperto una crisi evidente, secondo il Trattato, con il Parlamento Europeo. I capi di Stato e di Governo hanno tagliato tutti i programmi chiave del programma di lavoro di Ursula von der Leyen, privandoli di risorse e di libertà di manovra. L’Associazione rileva che è stato cancellato lo Strumento di Vicinato, sviluppo e Cooperazione Internazionale (NDICI), cioè il programma di promozione dei valori e degli interessi dell’Unione in tutto il mondo, ideato per perseguire gli obiettivi e i principi dell’azione esterna dell’Unione, che formalmente ricade tra le competenze della Commissione. È scomparso il “programma salute”, oltre 7,3 miliardi depennati. Alla Commissione è stato lasciato un programma speciale chiamato “EU4Health”, che dovrebbe essere la risposta europea al Coronavirus.

È stata bocciata la ricetta digitale e “green” della ripresa. Fin da subito, particolarmente dalla Francia, era stato sostenuto che traghettare l’Europa fuori dalla recessione era possibile seguendo la rotta della sostenibilità e della digitalizzazione. Il Fondo per la transizione è stato tagliato per due terzi: da 30 a 10 miliardi. La transizione nata per convertire il tessuto produttivo da un modello inquinante ad uno sostenibile è stata, per lo meno, rinviata. InvestEU, il programma ereditato dal piano Junker per gli investimenti strategici per veicolare risorse per finanziarie opere strategiche soprattutto indirizzate al sostegno della ripresa digitale dai 30 miliardi che valeva ad inizio vertice è finito a 5,5 miliardi.

Nella loro ricerca di compromesso i leader hanno apportato modifiche di vasta portata a Next Generation EU e non hanno adottato strumenti di solvibilità in materia di salute, migrazione, azione esterna e InvestEU. L’Associazione rileva altresì che se la Commissione e la sua agenda sono uscite ridimensionate nella ambizione e sconfitte sul piano politico, è tuttavia, faticosamente, stato proposta alla ratifica dei Parlamenti degli stati membri uno strumento tutto nuovo del meccanismo per la ripresa, seppur smembrato dai leader e dalle loro lotte; per la prima volta la Commissione potrà finanziarsi sui mercati e prestare soldi. Il che avvicina di un passo la costituzione se non di un bilancio unico, almeno di una regolamentazione comunitaria delle fiscalità. L’Associazione sottolinea che il Parlamento Europeo sarà costretto o ad accettare il risultato del vertice, sconfessando così le sue prerogative co-decisionali assegnatole dal Trattato, o a chiedere la revisione del bilancio a lungo termine. Si preannuncerebbe così la minaccia di veto, prevista, appunto, dal Trattato.

Il Parlamento, e le dichiarazioni di parlamentari di diversi gruppi lo confermano, non può ignorare che al Bilancio generale dell’Unione mancano nella proposta del vertice 250 miliardi dai 1324 che erano considerati essenziali nella proposta negoziale. Non sono graditi dai gruppi i tagli alla ricerca, Horizon9 né quello ad InvestEU. Adottare miglioramenti diventerà essenziale. L’accordo con Eurocamera non è scontato. Occorre molta ed urgente inventiva per ricostruire. L’Associazione dà atto al Governo nazionale di aver negoziato in condizioni complesse con efficacia e merito, ma sostiene che archiviata la difficilissima partita del Recovery Fund è stata appena appena aperta la porta che deve essere varcata per usufruire di fondi importanti per realizzare il concreto ed efficace programma di investimenti essenziali, per il superamento della crisi interna e del gap nei confronti degli altri paesi industrializzati.

La promessa del professor Conte di coinvolgere sull'uso dei fondi le opposizioni, non sembra, alla luce di alcune riflessioni, sufficiente per garantire il buon esito degli investimenti strutturali e delle riforme necessarie per un Paese più verde, più digitale, più innovativo, più sostenibile e inclusivo. Occorre, non per inciso, prendere atto che i 209 miliardi più eventualmente i 36 previsti dal MES, al di là delle tramontate condizionalità che l’ordoliberismo ha imposto- con risultati disastrosi- negli ultimi decenni, saranno erogati ad opere in corso e secondo tappe di realizzazione.

I Governi degli ultimi decenni non hanno certamente brillato in realizzazioni concrete, soprattutto infrastrutturali, ad eccezione del lavoro svolto sino a metà del governo Renzi dall’ANAS (che ha portato a compimento la Salerno Reggio Calabria, il GRA di Roma, importanti lavori in Sardegna, in Puglia, sulla jonica e nelle trasversali centrali della penisola), dalle Ferrovie, con il completamento sino a Napoli e Torino della Alta Velocità, l’ammodernamento della Rete e il rinnovamento dei mezzi rotabili. Il primo Governo Conte ereditò un Paese con indicatori macroeconomici davvero preoccupanti, sempre più critici per quanto concerne la crescita
del Prodotto Interno Lordo ed un solo indicatore positivo: quello relativo all’export. Disgraziatamente l’avvitamento delle politiche economiche ad interessi demagogici ed elettorali, come “il reddito di cittadinanza” e “la quota 100” hanno aggravato la spesa pubblica e non hanno aiutato la crescita.

Il secondo Governo Conte- dal 3 settembre alla fine del mese di febbraio - prima cioè del forzato lockdown, non è riuscito a produrre altro che un Documento di Economia e Finanza ed una Legge di Stabilità in cui unico risultato apprezzabile è stato quello di non aumentare l’IVA. Un risultato ottenuto con l’assestamento di bilancio prodotto dal Governo Conte I che aveva varato una manovra di circa 14 miliardi di euro, per cui il blocco dell’IVA è stato calcolato 10 miliardi anziché 25. La pandemia obbliga ad evitare l’analisi delle responsabilità del passato anche recente, a coprire pietosamente occhi ed orecchie alla debole capacità di indicazione e proiezione dei programmi elaborati dalle task force messe in campo da palazzo Chigi, ma pur volendo per speranza indicare l’estate del 2020 come il momento zero delle azioni e scelte future, occorre aver chiaro gli errori commessi anche se non si chiamano in causa gli erranti. Si segnalano così:

a) la incapacità di attivare concretamente quanto previsto dal Fondo di Coesione e Sviluppo. Dal settembre 2019 al febbraio 2020 non c’è stato nessun avanzamento nelle opere inserite nei PON e nei POR, non c’è stato alcun Stato di Avanzamento Lavori. È una voce che vale circa 28 miliardi di euro, di cui una parte è su fondi europei già oggi esistenti e non su altri fondi;

b) Non è stata modificato il Decreto Legislativo 50/2016 (Codice Appalti), del quale purtroppo, come di altre sciagurate scelte (fra le quali l’assorbimento della prima stazione appaltante italiana, l’Anas, nelle Ferrovie) rendendo praticamente impossibile lo snellimento delle procedure di gara e di affidamento delle opere è stata la sinistra socialista identificata nella persona del segretario del PSI e vice Ministro, responsabile della redazione del Codice, senatore Riccardo Nencini;

c) Non è stata promossa una efficace politica per il lavoro, preferendo il sussidio del “reddito di cittadinanza” anche se i risultati del primo anno di attività hanno appalesato il fallimento della iniziativa se non, in generale, per la soddisfazione di “finti poveri” , rendendo necessario l’indebitamento di un altro 1 miliardo di euro per l’ introduzione di un reddito di emergenza, destinato ai veri poveri della pandemia Covid”. Il tutto senza aver messo in atto una politica per il
lavoro.

d) la crisi del centro siderurgico di Taranto, la perdente trattativa con il concessionario Arcelor Mittal, ha innescato il rischio di una inedita crisi sociale mai vissuta dal Paese: la perdita di oltre 28.000 posti di lavoro tra diretti ed indiretti. È evidente che i fondi europei, non immediatamente stanziabili, debbano essere usati su progetti concordi al Green Deal europeo e debbono tener conto della trasformazione di tutta l’industria siderurgica italiana; se non altro perché sarà a Bruxelles che verrà sottolineato come l’Italia non vive soltanto dell’acciaio tarantino.

e) Con il DL Cura Italia, il DL Liquidità, il DL Rilancio e il DL Semplificazioni sono state dichiarate disponibilità finanziarie pari a circa 70 miliardi di €. Il calcolo a spanne larghe ci dice che la bolletta è di oltre 100 miliardi. È stato necessario ricorrere, per eliminare definitivamente le clausole dell’incremento dell’IVA dal nostro panorama nazionale, ad una contrazione della liquidità che ha comportato, per esempio, nel comparto infrastrutturale, una disponibilità finanziaria nel triennio 2020 – 2022 non superiore a 6 miliardi.

f) Si è a lungo discusso sul possibile annullamento di una politica concessoria nella gestione delle reti autostradali. Non è questa la sede di analizzare il fallimento italiano del coinvolgimento di capitali privati nella realizzazione delle reti autostradali. È un fatto che occorre urgentemente pensare a come sostenere le risorse di Cassa Depositi e Prestiti per un valore che oscilla tra i 7 ed i 23 miliardi di euro e nello stesso tempo evitare che la spesa necessaria per il mantenimento ottimale delle strutture non ricada sulle spalle pubbliche, mantenendo, come si prospetta, un utile ad investitori, molto apprezzati da tanti governi di diverso colore. Abbattere l’inerzia, sinora misura indiscussa dei governi recenti, diventa essenziale per mettere in campo la tempestività che garantisce assieme efficacia e l’erogazione dei loan e grant europei.

L’Associazione Socialismo XXI non ignora il tempo eccezionale che traversa la democrazia italiana, e sostiene con vigore che sia dentro la Costituzione repubblicana che si debbano trovare le strade necessarie per definire nuovi strumenti di azione democratica. Non con Task force, ma con gli strumenti costituzionalmente indicati, per esempio CNEL e Corte dei Conti, assistiti da altri organi dello stato, esperti del Governo, amministrazioni centrali, possono affidare all’Esecutivo ed al Parlamento, in tempi necessariamente brevi, preziosi suggerimenti per assumere e gestire difficili soluzioni.

Cantare soltanto vittoria per quanto di buono è stato negoziato dal presidente Conte a Bruxelles e non vedere le complicazioni nuove nelle istituzioni europee e le difficoltà nazionali a poter ben gestire i fondi che potrebbero giungere, sarebbe un errore prima che fatale, stupido. La crisi generale delle famiglie politiche in Europa non ha giustificato l’assenza, nelle singole realtà nazionali, della partecipazione attiva dei partiti e dei movimenti che sono figli della storia europea. Non così in Italia. Socialismo XXI, conscio della particolare situazione che vivono tradizione ed attualità dei movimenti e delle persone che operano per una edificazione nuova del soggetto socialista, non sull’aggregazione sic et sempliciter di sigle e di uomini, propone che i termini e le necessità di definizione dei nuovi compiti dell’Unione siano occasione di incontri e di proposte. Occasione perché il processo unitario affronti in modo concreto e diverso la necessaria composizione unitaria del Socialismo italiano nell’ambito mondiale.
 

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