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L'INDISCRETO di Maurizio Ronconi | La Premier Meloni da Orban a Mattei... al modello Draghi e un po' democristiano

Giorgia Meloni, con eleganza e con un atto schiettamente politico, si riallineata ad una politica di stampo europeista, atlantico ma anche originale che vuole esaltare il ruolo del nostro Paese.

Il Presidente del Consiglio, così vuole essere chiamata bandendo inutili declinazioni al femminile, vola in Algeria e poi a Tripoli, per riconfermare alleanze mercantili essenziali, per come si sono messe le cose con la Russia, ha rilanciato il “Piano Mattei”. Non è che sia una novità assoluta ed è anche vero che alla enunciazione di volontà bisognerà poi passare ai contenuti.

E tuttavia per la storia recente, per la nostra politica estera, la riproposizione del Piano Mattei, al di là della democristianità non solo partitica ma soprattutto ideale e culturale di Mattei, è qualcosa di non banale. Per Piano Mattei la Meloni intende non certo una nuova battaglia campale contro le sette sorelle monopoliste, al tempo di Enrico Mattei, dell’estrazione, della raffinazione e della commercializzazione degli idrocarburi perché da allora sono cambiate le situazioni, le condizioni, perfino il monopolio delle sette sorelle sostituito da quelli sovranisti. Oggi Piano Mattei vuol dire approccio diverso con i Paesi produttori, da pari a pari e con paralleli accordi commerciali che vanno oltre il petrolio ma interessano molteplici aspetti commerciali. Ma quello che assume una valenza politica davvero importante è l’iniziativa in sé della Meloni che con sagacia ha colto al balzo l’opportunità di stabilire, questa volta davvero, una forte continuità con la politica estera di Mario Draghi.

Dopo anni passati in solitaria ed inflessibile opposizione, Giorgia Meloni, con eleganza e con un atto schiettamente politico, si riallineata ad una politica di stampo europeista, atlantico ma anche originale che vuole esaltare il ruolo del nostro Paese. E come Mattei ai suoi tempi rilanciò l’ENI, oggi la Meloni vuol fare dell’Italia un hub del gas per l’Europa per sottrarre il Paese dal monopolio Russo e rilanciarlo strategicamente nell’ambito continentale. Sembra davvero passato un secolo dal sovranismo lepenniano e orbaniano, dagli ammiccamenti con Trump ed anche dalle scaramucce con Macron perseguiti negli anni della opposizione al governo Draghi e nei primi giorni di premierato, secoli dalle rumorose proteste in Puglia contro il gasdotto trans adriatico, oppure da quelle sostenute dal sindaco di Fratelli d’Italia di Piombino verso il rigassificatore.

Come dire: la ricreazione è finita, ora si governa e per governare tutti allineati e coperti dietro il nostromo a veleggiare verso l’Europa, a difesa senza se e senza ma dell’Ucraina, a confermare una alleanza strategica con Biden e gli Usa, a sottrarre a Putin l’arma energetica, ad esaltare una geostrategicità italiota. Non è una conversione dettata dalle convenienze bensì segno di intelligenza e capacità, della consapevolezza che il ruolo dell’Italia potrà essere valorizzato ed esaltato solo in una forte integrazione continentale ed atlantica.

C’è un solo dubbio. Cosa è rimasto della destra “dura e pura” di quella sovranista, lepennista, orbaniana, anche di una destra democratica ed europea, perché il nostro Presidente del Consiglio non ha più quei connotati ma somiglia molto di più ad un Draghi in gonnella (con tutto il rispetto per l’uno e per l’altra) e perfino ad un premier di stampo democristiano. E questo a molti, e non solo in Italia, non dispiacerà.

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