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Caso Joan, De Vincenzi sta con Romizi: "Ha fatto bene a non trascrivere entrambe la madri"

Il consigliere comunale: "Il bambino è stato usato come mezzo, biecamente immolato sull'altare dell'ideologia"

Riceviamo e pubblichiamo l'intervento del consigliere comunale Sergio De Vincenzi sul caso del piccolo Joan. 

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La questione del piccolo Joan, ancorché drammatica e personalmente lacerante, ma di questo se ne accorgerà lo stesso bimbo negli anni a venire, non può certo essere liquidata come una semplice questione di diritti civili affermati, negati o conquistati, ma va letta nella sua intera complessità.

La vicenda, infatti, non coinvolge solo Joan, la sua mamma biologica, la mamma spuria, il donatore di spermatozoi, la “fabbrica”, che a son di soldoni si è prestata a costruire il “prodotto”, e il Sindaco Romizi, che non vuole trascrivere l’iscrizione di due “irrealistiche quanto biologicamente impossibili” mamme, ma anche l’intera società.

Per questo, bene ha fatto il Sindaco Romizi a prendere una decisa posizione contraria all’iscrizione della doppia figura materna che, tuttavia va ricordato, non è mancanza di sensibilità umana, tutt’altro: quanto piuttosto assunzione piena di una responsabilità dovuta all’intera cittadinanza di Perugia e, perché no, dell’intera Italia. Solo gli sprovveduti, infatti, si fermeranno alla superficie di questa triste vicenda, lasciandosi ingannare dall’ideologia che vi si nasconde dietro: buoni vs cattivi, amore vs malvagità, famiglia indifferenziata vs famiglia naturale, due madri vs un padre e una madre, utero in affitto con una mamma “fattrice” e correlato commercio di gameti, e così via.

La questione evidentemente è molto più profonda e coinvolgente la vita di ciascuno di noi, indipendentemente dalla consapevolezza e dal consenso che oggi avremmo potuto esprimere, senza per questo dimenticare il futuro dei nostri figli che porteranno sulle spalle il pesante fardello che da sentenze come quelle del piccolo Joan potranno derivare.

Innanzi tutto la vicenda è scandita dall’assioma di assoluta ricerca del bene del piccolo Joan e per questo se ne è chiesta la trascrizione all’ufficio anagrafico con la specifica delle due donne.

 I fatti, invece, dimostrano esattamente il contrario: il piccolo e inconsapevole bimbo emerge chiaramente solo come un mezzo biecamente immolato sull’altare dell’ideologia del possesso e dello stravolgimento della natura che mostra degli adulti proiettati a soddisfare più i propri desideri egocentrici anziché ricercare il bene supremo del piccolo.

In secondo luogo, superando a piè pari la questione ideologica e le contraddizioni naturiste, ben più rilevante per i singoli e l’intera comunità, la sentenza crea i precedenti del superamento del diritto naturale che oggi riguarda Joan, domani tutti noi. Ma se il diritto naturale non è più l’elemento fondante il riconoscimento dei diritti umani, ormai trasformati in diritti civili, allora nessuno di noi può più dirsi al sicuro, nemmeno nella civilissima e antica Italia. 

Infatti, violare il diritto naturale delegittima le stesse norme giuridiche su cui si basano le tutele personali e sociali e su cui si fondano le stesse istituzioni. Allora non avrà più senso parlare di condanna della mafia piuttosto che della corruzione e del profitto che fa crollare i ponti e inquinare l’acqua e l'aria, della shoah piuttosto che della xenofobia, della violenza in generale e del femminicidio in particolare, del suicidio assistito piuttosto che dell’eutanasia di stato, perché se tutto sarà legato al possibile e al presunto bene personale allora tutto diverrà arbitrario e il sistema sarà irrimediabilmente ingestibile.

Così, infine, non vorrei che Hannah Arendt, prendendo spunto dal suo libro “La banalità del male”, abbia a considerarci “né svaniti, né indottrinati, né cinici", ma semplicemente, "persone incapaci di distinguere il bene dal male”

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