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“Sporco petrolio”, presentato a Perugia il dossier choc di Legambiente a pochi giorni dal referendum

E' stato presentato stamane in conferenza stampa a palazzo Cesaroni, il dossier choc di Legambiente sull'altra faccia dell'oro nero dell'economia mondiale: tra storie di corruzione, inquinamento e malaffare. A presenziare all'incontro, Antonio Pergolizzi, Osservatorio ambiente e legalità Legambiente, Andrea Minutolo Coordinatore ufficio scientifico Legambiente, Marco Fratoddi Direttore La Nuova Ecologia e Carlo Fini, Comitato umbro Ferma le Trivelle.

Secondo quanto riportato dal dossier, il settore delle estrazioni di petrolio e gas è in assoluto tra i più a rischio corruzione con un tasso del 25% di corruzione percepita (dato Trasparency). Petrolio, gas e risorse minerarie costituiscono tuttora i settori a maggior rischio corruzione del mondo (dati Ong Global Witness). In un campione di 427 casi di corruzione registrati tra il 1999 e il 2014, quelli riguardanti i settori citati rappresenterebbero da soli il 19% del totale. Da quanto emerge, l'alta propensione alla corruzione nel settore delle estrazioni di gas e idrocarburi è infatti dovuta principalmente alla sproporzione tra la forza contrattuale ed economica messa in campo dagli operatori economici titolari e gestori degli impianti e la debolezza politico economica dei territori dove questi impianti insistono concretamente.

In Italia prendendo in esame i principali scandali degli ultimi due anni e mezzo, sono state almeno 97 le persone indagate per reati ambientali e sanitari e 92 quelle sotto indagine per reati di corruzione, truffa e frode fiscale per un totale di 189 persone.

Sporco Petrolio-spiega Pergolizzi- riporta alcune storie di illegalità ed inquinamento ambientale, dal recente caso del centro Oli di Viggiano fino alla storia della raffineria di Gela, all'inchiesta sulla raffineria di Cremona a quella di Livorno. (dossier completo su www.legambiente.it).

E non è un caso che il dossier sia stato presentato a pochi giorni dal referendum del 17 aprile che invita la cittadinanza a porre un limite alla durata delle concessioni di ricerca ed estrazione di petrolio e gas entro 12 miglia. “Vuol dire-come riferisce in una nota Rossella Muroni- presidente nazionale di Legambiente, “indicare quale futuro desideriamo per i cittadini e i territori di questo paese, un segnale chiaro e inequivocabile sulla politica energetica che vogliamo”.

Carlo Fini del Comitato umbro Ferma le Trivelle, spiega così il referendum: I cittadini non hanno avuto modo di capire la portata del problema, al di là delle controversie istituzionali, io mi aspetto che chi va a votare questo referendum abbia maggiore consapevolezza e chiarezza della questione. Le trivelle che si andranno a fermare saranno molto poche e non si potranno fermare subito. Perchè in questo provvedimento, viene fuori che fino ai termini di contratto stipulato queste trivelle continueranno a funzionare, quindi non è che con il referendum, il giorno dopo, cambieranno le cose. Inoltre per porre la contrapposizione tra occupati e disoccupati come bandiera referendaria, a me sembra una cosa speculativa e non accettabile. Non è scopo del referendum licenziare le persone. Lo sviluppo delle energie alternative,come è stato anche il risultato della conferenza di Parigi,dovrebbe richiamare le istituzioni su questi punti perchè se si sviluppano le trivelle si va contro quell'impegno preso  di ridurre entro il 2020 il 35% delle energie fossili”.

Anche Andrea Minutolo, Coordinatore ufficio scientifico di Legambiente Italia, risponde ai microfoni virtuali di PerugiaToday.it 

Secondo il Ministero dello Sviluppo Economico, nel 2014, la produzione petrolifera in Italia ha reso alle regioni e allo Stato royalties e Iva per circa un miliardo di euro, parte dei quali va ai territori per lo sviluppo regionale. Come si potrebbe sopperire a questa mancanza? 

"Si potrebbe sopperire investendo in energie rinnovanìbili. Se si incetivasse nell'utilizzo e nell'ampliamento delle fonti rinnovabili si otterrebbe un beneficio ambientale ed energetico e tornerebbe in bolletta come diminuzione di importazione di consumi derivanti da fonti fossili".

Secondo i dati Eni, la produzione offshore in Italia è cosituita dal 93% di gas e dal 7% di petrolio. Il gas è una energia relativamente pulita, non si creerebbe danno al contribuente visto che si dovrà acquistare all'estero?

"“L'acquisto all'estero sarebbe una prima fase di transizione, il gas non è solo nel sottosuolo, ci sono altre fonti di produzione di gas derivanti da movimenti già attivi come il biogas, che già adesso produrrebbe il 7%. Implementando e mettendo a sistema in maniera locale la produzione del biogas, si potrebbero innanzitutto abbattere costi di trasporto e di importazione, rendendo la filiera locale al minor raggio d'azione e, se si incetivasse la costruzione di impianti volti a questa produzione, si otterrebbero le stesse accisa che si guadagnano dai petrolieri".

L'ultimo incidente in Italia su una piattaforma risale al 1965 e l'ultimo pozzo perforato è del 2009. la recente normativa ha limitato di fatto le concessioni offshore del 50%. E' un referendum su una normativa o sull'uso degli idrocarburi?

"“Il referendum di per sé è di natura amministrativa, quello che c'è dietro è evidente che è un idea di sviluppo energetico che il paese vuole avere, le compagnie petrolifere in Italia hanno goduto negli anni storicamente di benefici e di sgravi fiscali e si tenta di portare questo tipo di benefici  verso nuovi sistemi di sviluppo più sostenibili. Le nuove perforazioni, è vero, sono state fatte poco, e proprio perchè, le quantità in gioco di cui parliamo, sono irrisorie. Le riserve di petrolio in Italia corrispondono a livello mondiale  allo 0,01%, non coprono quindi il nostro fabbisogno energetico. Andando a implementare con nuove perforazioni, con nuove attività di ricerca e nuovi tipi di estrazione, si farebbe  sempre e solo un vantaggio al privato e non al pubblico e lo Stato dovrebbe pensare al bene collettivo, non viceversa".  

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