“Umbria On Stage” porta in scena “Rikordami”, produzione umbra interamente dedicata all'olocausto: ecco le tre serate
Una produzione tutta umbra interamente dedicata alla Giornata della Memoria, è la prossima tappa del cartellone di “Umbria on Stage”, progetto per la realizzazione di spettacoli dal vivo promosso dall’associazione Athanor Eventi: si tratta dello spettacolo “Rikordami”, progetto scritto da Antonio Fresa, con sul palco i due attori Cristina Caldani e Massimo Manini, in programma a Spoleto, Lugnano in Teverina e Foligno.
Il progetto Umbria on Stage, realizzato con il sostegno del “POR FESR Regione Umbria 2014-2020 per il sostegno di progetti nel settore dello spettacolo dal vivo”, anche quella che prevede il coinvolgimento di una nutrita rappresentanza di figure professionali e artistiche umbre, con l’obiettivo di offrire un’opportunità occupazionale e di costituire un veicolo promozionale per un “prodotto” artistico targato Athanor Eventi ed interamente “Made in Umbria”.
Dopo lo spettacolo del collettivo umbro ‘La Ragione di Stato’ con ‘Diversi da loro’ (dopo l’esordio a Foligno e Cannara in cartellone ci sono ancora le repliche del 13 febbraio a Spoleto e il 19 febbraio a Lugnano in Teverina) c’è quindi ora in programma “Rikordami”, offerto in collaborazione con le rispettive amministrazioni comunali: sabato 23 gennaio a Spoleto (Teatro Caio Melisso, ore 17), giovedì 27 gennaio a Lugnano in Teverina (Teatro Spazio Fabbrica, ore 21.15) e lunedì 31 gennaio a Foligno (Auditorium San Domenico, ore 21.15).
La versione streaming dello spettacolo, disponibile sul canale Youtube Umbria On Stage, potrà essere anche un valido strumento didattico a disposizione degli Istituti scolastici che, non potendo partecipare al live, vogliano fare una riflessione su questo tema.
Uno spettacolo sull'olocausto
Lo spettacolo narra la storia di due fratelli, un uomo e una donna senza nome: lui introspettivo e contenuto negli atteggiamenti, lei più espansiva e con la gioia di vivere. Giocano, ricordando diversi momenti della loro vita passata: di svaghi quotidiani rubati all'infanzia e di un viaggio, di un ultimo viaggio fatto insieme ai propri genitori e a tantissima altra gente appartenente alla loro cultura: il popolo ebraico. Passano così dal clima sereno e protetto delle stanze della loro casa, ai paesaggi osservati attraverso i finestrini del treno, in cui il sole accendeva i colori e scaldava la tiepida aria vissuta in tante vacanze.
Man mano che il viaggio procede però, si restringono gli spazi attorno a loro; cambiano paesaggi e la luce si fa sempre più fioca. I buoni e profumati odori spariscono, per far spazio ad un putrido e fetido olezzo. Fino a quando gli umori corporei prevalgono su quelli dei campi, e i mugugni di sofferenza delle persone accanto, vengono interrotti da cani che ringhiano e da brutali comandi in lingua tedesca. È in questo momento, che il viaggio dei due fratelli, prende due strade diverse fino arrivare a far porre loro una domanda: “Quando l'ultimo dei nostri testimoni ebrei avrà cessato di vivere, chi si ricorderà di ricordare?”.
Una domanda che questo originale lavoro si pone, costituendosi “parte civile” di una vicenda drammatica, come la Shoah. Ed è originale, perchè non si limita a raccontare una delle tante “storie” capitate agli ebrei; ma perché, nel raccontare la vicenda di una famiglia, rende universale un che è appartenuto ad altre culture. Dai curdi agli armeni, dai rohingya così come ad altre civiltà, lo spettacolo intende mettere lo spettatore di fronte alla responsabilità di “farsi ponte” tra il passato e il presente della propria storia. Perché il dramma vissuto dal popolo ebraico, a differenza di qualsiasi altro popolo, dai rastrellamenti alle deportazioni, dai campi di concentramento allo sterminio, è cosa che riguarda tutti: e tocca ognuno non solo da vicino, ma soprattutto da lontano. La nostra storia, nella fattispecie, è infatti intrisa di così tanta cultura ebraica, che la trasuda; e non solo quella parte dalla quale ha avuto origine la nostra religione.
Dice Antonio Fresa, scrittore ed autore del testo con Massimo Manini e Cristina Caldani:
“I testimoni diretti della Shoah stanno, per ovvi motivi anagrafici, scomparendo e non potremo più sentire la loro voce per mantenere viva la memoria di quello che è stato. Il loro racconto è legato alla loro vita e alla violenza della storia che hanno dovuto subire. Il nostro farci memoria della memoria è, invece, una scelta etica profonda e sentita per serbare con noi l’idea di un male assoluto che la storia ha saputo produrre; la nostra è una responsabilità profonda verso le loro vite e verso le nostre speranze di un futuro migliore; il nostro è un atto di solidarietà oltre il tempo che ci tiene legati gli uni agli per dirci ancora umani. Da questa visione è nato un testo che è poi divenuto una rappresentazione teatrale: un sommesso monito a fare i conti con il peso di una memoria che ci lega gli uni agli altri. Il testo che ho osato scrivere è il frutto di una lunga riflessione e di uno studio dei fatti che mi ha portato a farmi sempre più domande e ad avere sempre meno risposte. Ogni volta che ho avuto la presunzione di capire, mi sono reso conto che sapevo ben poco e che dovevo ascoltare il racconto di quelli che ci stavano ancora parlando. Adesso il nostro dovere è farci interpreti delle loro parole”.