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Mercoledì, 24 Aprile 2024
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VISTI PER VOI La stagione teatrale al Morlacchi chiude col botto: sul palco il grande Marco Paolini

Un grande Marco Paolini ci racconta la fantasmagorica historia di Numero Primo, vicenda di fantarealtà, scritta a quattro mani con Gianfranco Bettin

VISTI PER VOI. Quando la fantascienza s’imbeve di realtà. La stagione teatrale al Morlacchi chiude col botto: un  grande Marco Paolini ci racconta la fantasmagorica historia di Numero Primo, vicenda di fantarealtà, scritta a quattro mani con Gianfranco Bettin.

La vicenda è ambientata in un  mondo presente/prossimo venturo in cui si mescola il reale e l’improbabile, tra automi troppo veri per essere finti e un residuo barlume di scarna umanità. Tra barra Telepass che, forse, non si solleverà, fede e speranza in un mix che esalta e detesta la tecnologia.

“Perché  - spiega l’affabulatore nel pistolotto finale – “naturale” è tutto ciò che conosciamo dalla nascita, e “artificiale” o “tecnologico” è ciò che sopraggiunge”. La sfida si gioca dunque tra l’ipocrisia del naturale e lo stravolgimento del tecnologico. Eppure ci si muove tra una scuola non troppo diversa da quella di oggi, integrazione e disintegrazione sociale, razzismo strisciante  e società fobica, con relazioni fasulle e ridotte al lumicino.

Il mondo evolve così rapidamente fa averci indotto a creare il neologismo “antropocene”, intendendo per tale un’era geologica caratterizzata dall’azione dell’uomo come agente di trasformazione (e stravolgimento) del pianeta Terra.  Le nuove tecnologie invecchiano rapidamente generando però nuove attese.  O nostalgie di un impossibile nostos. È il caos. Dopo una fase iniziale in cui Paolini getta le premesse per l’affabulazione e prende le misure (col pubblico e con se stesso), le quasi due ore di racconto si dipanano intense e graffianti.

Punte più alte: l’irresistibile comicità dell’invasione dei pidocchi nella  scuola multietnica e la drammaticità dei gabbiani che fanno strage e strame dei topi infestanti il Pianeta. Una replica della “Peste” di Camus o una fosca premonizione del nostro domani? Perché il teatro è “profezia”, non dimentichiamolo.

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