Spigolature storico-linguistico-antropologiche su San Gostanzo
Ordinariamente il protovescovo viene erroneamente definito “patrono di Perugia”, mentre lo è dell’intera diocesi
Oggi a Perugia si celebra la ricorrenza di San Costanzo, che per i cittadini del Grifo è Gostanzo, con la “g” iniziale, come “gravatta”, che in perugino sta per “cravatta”. Ordinariamente il protovescovo viene erroneamente definito “patrono di Perugia”, mentre lo è dell’intera diocesi.
I Patroni di Perugia non sono 3, come i tre moschettieri cui si aggrega D’Artagnan: ma i realtà sono 4 con San Lodovico di Tolosa, patronus politicus (allude al rapporto di protezione con gli Angiò), 5 col patronus populi San Bevignate, (che non fu mai santo), 6 con San Fiorenzo, invocato nel periodo della peste. Claudio Spinelli sosteneva che, in fatto di patroni, la Vetusta non aveva badato a spese!
Ma il solo, vero e unico patrono è Ercolano, defensor civitatis contro l’assedio dei Goti di Totila. Da qui l’errore del Comune nel decretare il 29 gennaio, San Costanzo, come festa cittadina, con scuole e uffici chiusi.
È fin troppo nota la faccenda dell’occhiolino alle ragazze nubili e “illibate”. Nel giorno della festa, le ragazze da marito si recavano in chiesa pronunciando la frase San Gostanzo da l’occhio adorno / famme l’occhiolino sennò n ciartorno. Quindi si ponevano ad osservare l’effigie del santo. Se, nel tremolio della luce delle candele, pareva che il Santo avesse strizzato l’occhio, significava che era “pronubo”, ossia che la ragazza entro l’anno avrebbe convolato a nozze.
Se l’occhiolino non scattava o non veniva percepito, il fidanzato, per consolazione, infilava (allusione erotico-sessuale?) al braccio dell’amata il profumatissimo tòrqlo. Similmente accadeva alla festa dell’Assunta di Monteluce col torcolino all’anice Dato che il santo fu decapitato in Foligno nei pressi del Trivio (Lu Tribbiu, in folignate) la forma del dolce mantiene memoria dell’evento, col segno della decapitazione e i canditi, come pietre preziose, simbolo di santità. Mangiare il torcolo è un rito, una comunione golosa col santo.
Infine “torcolo” è metafora di un luogo innominabile (in pubblico): se passa una bella donna, l’espressione “che tòrqlo” si riferisce a un apprezzabile lato B. Il buco centrale del dolce allude a un orifizio che si dice porti bene, come lo scaramantico numero 23. M