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Venerdì, 19 Aprile 2024
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LETTI PER VOI "Riparare i viventi" e la scrocciata nella tradizione popolare umbra

Un libro indispensabile, questo di Giancarlo Baronti: ben scritto, perfettamente documentato nella molteplicità dei dialetti umbri

“Riparare i viventi. La scampanata nella cultura popolare umbra” (Edizioni “Il Formichiere”, pagine 415, 25 euro). Ovverosia, come andare alle radice dei riti di controllo della vita sessuale della società rurale dell’altroieri. È questo l’inedito argomento al centro dell’ultimo libro dell’antropologo Giancarlo Baronti, allievo di Tullio Seppilli, padre nobile dell’etnologia contemporanea.

Baronti ha messo insieme mezzo secolo di dossier e interviste, effettuate in tutte le zone della nostra regione e confluite in studi e tesi di laurea del Dipartimento Uomo e Territorio. Ma cos’era la scampanata, a chi era rivolta e a cosa serviva? Si trattava di un “concerto” di disturbo a base di colpi su bidoni, coperchi e pentole, vomeri di aratro, barattoli di latta: un rumore infernale, tra grida, schiamazzi e parole offensive legate a sessualità, matrimonio, vita di coppia.

Quali i destinatari? Due vedovi che si accompagnavano (senza sposarsi per non perdere una pensione di reversibilità) o si risposavano, un vecchio che impalmava una fanciulla troppo giovane, una ragazza rimasta incinta e mollata, la moglie che abbandona il tetto coniugale per tornare coi suoi o scappare con l’amante, un marito bastonato dalla moglie, la rottura di un fidanzamento… tutto quanto, insomma, deviava dalla regola. E non si trattava di un semplice sfottò, ma di un recupero sociale, di un rientro nella norma, di riparare un equilibrio che si era rotto, riconducendo l’anomalia a normalità.

La scampanata, effettuata la sera sotto le finestre delle persone da dileggiare, poteva protrarsi per tre sere consecutive o anche per dieci giorni. Si poneva fine alla canzonatura quando gli interessati (più spesso l’uomo) scendevano, offrivano da bere e da mangiare ai “concertisti” e dimostravano di prendere bene lo sfottò. Riconoscendo, in qualche modo, l’errore e rientrando “ripuliti” nell’accettazione sociale dell’anomalo o dell’irrituale. Insomma: la comunità tendeva a riassorbire la devianza con una plateale “riconciliazione” a base di vino e bisboccia.

Si sono dati anche casi di reazioni violente (scampanate finite male), addirittura con spreco di cartucce, ma la norma era quella di chiudere pacificamente la questione. Addirittura, in qualche luogo, si doveva pagare una tassa o sottostare a regole severe. Una pratica simile esisteva anche in altre zone d’Italia e in vari Paesi europei. Da noi, tale operazione la si chiamava anche “scrocciata” o con altre varianti lessicali. Ma la sostanza dell’operazione è la stessa. Un libro indispensabile, questo di Giancarlo Baronti: ben scritto, perfettamente documentato nella molteplicità dei dialetti umbri.

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